lunedì 29 settembre 2014

La Sfinge

La Sfinge è da sempre una Guida nel sentiero iniziatico. 


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«Guardami! Sono la forza intelligente che emana dal Gran Tutto. Osservami! Ho il corpo da leone! Poiché un tempo non ero che un animale, una forza cieca della natura. Ma la luce fu fatta in me, ed io ho osato e voluto intendere ciò che distingue l'uomo dall'animale: l'Intelligenza radiosa che dorme nella mente. Tuttavia non ho voluto rinnegare la mia origine, e ho conservato il corpo di leone, e sono divenuta la Sfinge dalla testa d'uomo. Che il passante che mi interroga sappia, dunque, che la testa è l'Arca santa, dove l'Intelligenza s'è addormentata offuscata dai grevi vapori della materia. Sia risvegliata la Dea dell'Intelligenza, che darà all'uomo i mezzi per domare il Serpente del Desiderio. Allora, padrone del suo corpo di leone, egli diverrà una testa pensante e le sue labbra, come le mie, sorrideranno alla Vita. E come me, contemplerà impassibile sia l'oro del tramonto che il turbine nero del deserto solcato dai lampi, poiché, se il suo corpo apparterrà alla Terra, la sua mente abiterà nei Cieli.

Ora che tu sai, taci! Prendi esempio da me, sii enigmatico, poiché la Forza risiede nel silenzio e la Verità non può che generare la follia in menti troppo deboli per comprenderla. Per altro, cosa sono gli uomini se non leoni ruggenti dell'insaziabile fame dell'egoismo? Che diverrebbe la Scienza Reale fra le loro mani, se non folgore maledetta che tutto distrugge? Essi, come già fecero in tempi più antichi, se ne servirebbero per distruggersi.

Resti, dunque la scienza, racchiusa nel prezioso Tabernacolo dell'Iniziazione, perché, è meglio restare nell'ignoranza che sapere per opprimere il prossimo.

Taci, dunque, taci. Che l'età dell'oro non è ancora giunta. Siamo all'età dell'argento e, lentamente, soltanto i più validi s'incamminano verso l'epoca gloriosa, ove tutti, padroni del loro corpo di leone, saranno tanto evoluti da poter ricevere la Sapienza e servirsene senza pericolo. Fino a quel giorno, l'Iniziazione è necessaria, e un abisso deve esistere fra l'Iniziato e il passante.»


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Come Guida ti mostra le Giuste Domande (a cui non necessariamente esiste una risposta), come Iniziatrice ti offre la sua Conoscenza della Croce (le Quattro Parole che dona all'Iniziato), come Giudice mantiene l'Equilibrio e trancia con la Spada chi non lo rispetta.

La Sfinge è un animale rappresentato in molti simboli esoterici. E' presente negli Arcani della Ruota, è presente nella mitologia, è presente operativamente in molti rituali magici, per le leggi che rappresenta.
Negli Arcani la Sfinge è Manifesta in Tre Arcani e Celata in un Quarto. E' Manifesta nella Papessa, nel Carro e nella Ruota.
Nella Papessa la Sfinge è semi Celata sotto il Manto della Papessa. La Papessa è colei che mantiene le Chiavi di Volta, o anche conosciute come le Chiavi dei Piccoli e Grandi Misteri (le stesse due chiavi del simbolo papale). In questo caso la Sfinge, che fa parte del Trono della Papessa, rappresenta la Base su cui si poggia la Conoscenza espressa dalla Papessa. Conoscenza dell'Alto e del Basso (le due Chiavi), la Conoscenza dell'Equilibrio (il Libro che Mantiene semi chiuso), la Conoscenza del Velo del Tempio.



Nel Carro invece abbiamo due sfingi, una Bianca ed una Nera, entrambe al servizio del "Principe Coronato di Stelle" mentre tirano il suo Carro. La Corona di Stelle è propria di quell'antico motto esoterico che recita: "un punto nel Cuore e le Stelle Sovrane". Per una migliore analisi di questo simbolo si dovrebbero analizzare simbolicamente anche altri Arcani (II, XV e XVII) ma poi si andrebbe fuori dal tema della Sfinge. In questo Arcano la Sfinge si presenta in forma duplice, poiché attraverso la sua Conoscenza del duplice (manifestazione) permette al Carro del Principe di Procedere lungo il suo Sentiero. E' da notare come nell'Arcano, per quanto le due Sfingi tirino il Carro in due direzioni opposte (dall'equilibrio delle due forze il carro procede), entrambe guardano verso la stessa direzione, che è la stessa in cui guarda il Principe, Guidato dalle Stelle.
 



 Nella Ruota la Sfinge si mostra in tutto il suo Splendore. In Mano la Spada e dall'Alto, Distaccata, osserva il Gioco di Equilibri precari della Ruota. Ruota che viene fatta girare da Tifone ed Hermanubis e che poggia sulla Luna, Acqua. In questo Arcano la Sfinge è Colei che Mantiene l'Equilibrio e lo fa rispettare con la sua Spada. Mostra le leggi dell'Equilibrio, ma per mostrarle Lei se ne distacca (il piano su cui poggia la Sfinge non è condizionato dal movimento della Ruota), le Osserva dall'Esterno. Ed è questo l'aspetto principale della Sfinge come Guida e Giudice: Colei che Osserva e Mostra l'Equilibrio e fa in modo che venga mantenuto.



Ma negli Arcani esiste un'altra figura che fa questo (almeno nell'Aspetto di Mantenere l'Equilibrio, poiché non lo Mostra), è Temi, la Giustizia dell'Ottavo Arcano.
Essendo la Giustizia un Arcano in cui la Sfinge viene Celata, esso manifesta le Leggi della Sfinge in modo più Oscuro. L'Equilibrio che nel Decimo Arcano era manifesto come un Gioco della Ruota sull'Acqua, adesso è Celato nell'Equilibrio della Bilancia che Mantiene, che è sempre un simbolo di Equilibrio, ma non mostra come l'Equilibrio si esplica nella Manifestazione. Ha sempre in Mano la sua Spada, e dal suo Trono Osserva l'Equilibrio e lo fa rispettare...



La Sfinge però non solo è Guida ed Iniziatrice nel Sentiero Iniziatico, ma offre anche la sua Conoscenza della Croce.
Generalmente si associa la Sfinge alle Quattro Parole dell'Iniziato che sono Volere, Conoscere, Osare e Tacere.

Queste sono le quattro parole della Sfinge che possono essere emanate nelle Quattro Direzioni, a rappresentare una Croce (o una X) corrispondente ai quattro elementi.
Abbiamo la Volontà che rappresenta il Fuoco Interiore dell'Individuo, e brilla della sua Luce come una Stella. Essa è rappresentata dalla Bacchetta del Mago, lo strumento che il Mago utilizza per direzionare la sua Volontà nell'Universo in cui vive. E' quindi il Leone posto ai lati della Circonferenza del Creato.

Dopo la Volontà la Conoscenza, che rappresenta il Lago della nostra Mente che deve essere calmato per permetterci di vedere attraverso la sua Superficie. Essa è rappresentata dalla Coppa del Mago, lo strumento che il Mago usa come "Contenitore" della sua Vita, poiché è nella Coppa che si versa "ogni singola goccia del Sangue del Mago". E' quindi l'Angelo posto ai lati della Circonferenza del Creato.

Dopo la Conoscenza c'è l'azione di Osare che rappresenta l'elemento dinamico derivato dall'Unione della Volontà unita alla Conoscenza. E' quindi l'Aria generata dall'Unione del Fuoco della Volontà e dell'Acqua del Mare della Conoscenza. Essa è rappresentata dal Coltello poiché è lo strumento usato dal Mago per separare, per "Dividere quello che già appare Separato". E' quindi l'Aquila posta ai lati della Circonferenza del Creato.

Ed infine, nel Segreto, c'è il Silenzio che rappresenta l'Oscurità della Terra dove nascondere il Sole che il Mago ha fatto Risplendere, altrimenti accecherebbe chiunque si avvicini. Esso è rappresentato dal Pentacolo del Mago, poiché è il Pentacolo che raccoglie le energie del Mago e le rende manifeste, nel Silenzio dell'Oscurità. E' quindi il Toro posto ai lati della Circonferenza del Creato.
 
Volere, Conoscere, Osare e Tacere, i quattro Strumenti del Bagatto, uno nelle sue Mani e Tre sul suo Tavolo, ai cui piedi fiorisce rigogliosa la Rosa Scarlatta.


La Rosa e la Croce, come simbolo di perfetta Armonia tra l'Iniziazione e l'Iniziato, e la Rosa, simbolo del Cuore, è Scarlatta del Sangue della Dea. Dea che si trova al Centro della Circonferenza del Creato (XXI Arcano), che la Sfinge rappresenta con le sue Forme.
Leone, Uomo, Aquila e Serpente, ma la Sfinge ne è ancora composta, non se ne separa...


Fonte
http://eccessodisilenzio.forumfree.it/?t=58571689

giovedì 25 settembre 2014

An/Anu

Nome An/Anu
Dimora Paradiso
Simbolo Toro, corona cornuta, scettro.
Consorte Ki, Nammu, Uras
Genitori Anshar e Kishar o Nammu
Fratelli Ki
Bambini Dato il suo essere il Dio degli Dei gli sono stati attruibi molti figli e demoni.
Ministro Ilabrat
Funzioni Dio del cielo, del paradiso, delle costellazioni, del giudizio, re degli Dei(Annuaki), della giustizia.
Numero Sacro 60
Triade cosmica An, Ea, Enlil
Montagna cosmica An-Ki
Quattro creatori An, Ea, Enlil, Ninhursag




Nella mitologia sumera, Anu (in sumero An, "il cielo, il cielo") è un dio del cielo, il dio del paradiso, signore delle costellazioni, re degli dei, spiriti e demoni, e dimora nelle più alte regioni celesti . Si credeva che avesse il potere di giudicare coloro che avevano commesso crimini, e che aveva creato le stelle (kishru) come soldati a distruggere i malvagi. Il suo attributo erala corona reale (corona). Il suo guardiano e ministro di Stato era il dio Ilabrat.
E' una delle più antiche divinità del pantheon sumero e fa parte di una triade, tra cui Enlil (dio dell'aria) e Enki (dio dell'acqua). Fu chiamato Anu dai successivi Accadi nella cultura babilonese. In virtù di essere la prima figura in una triade composta da Anu, Enlil, Enki(noto anche come Ea), Anu è colui considerato come il padre ed anche, il re degli dei. Anu è particolarmente associato con il tempio E-anna nella città di Uruk(Erech biblica), nel sud della Babilonia che ci sono buone ragioni per credere che questo posto può essere la sede originaria del culto di Anu. Se questo è giusto, allora la dea Inanna (Ishtar o) di Uruk può contemporaneamente essere stata la sua consorte.

Anu aveva diverse consorti, la più importante era Ki (terra), Nammu, e Uras. Con Ki era il padre di tutti gli dei Anunnaki. Con Uras era il padre di Nin'insinna(Ninsum, madre di Gilgamesh). Secondo le leggende, il cielo e la terra una volta erano inseparabili fino a che An e Ki fecero nascere Enlil, dio dell'aria, che tirò la terra verso di se mentre il cielo si staccava.
Anu esisteva nella cosmogonia sumera come una cupola che copriva il piano terra; Al di fuori di questa cupola c'era il corpo primordiale di acqua noto come Tiamat (da non confondere con il sotterraneo Abzu).In sumero, la denominazione "An" era usata in modo intercambiabile con "i cieli".
Anu è anche responsabile del Toro del Cielo, che possono essere inviati sulla terra per vendicare gli dei. Insieme a Ki costituisce la Montangna cosmica An-Ki. Insieme a Ki, Ea ed Enlil fa parte dei quattro creatori.
All'inizio ero il Dio maggiore più tardi An / Anu è venuto a condividere o cedere queste funzioni, ad Enlil e successivamente Marduk salito alla ribalta, ma ha conservato il suo carattere essenziale e status elevato nel corso della storia mesopotamica. Infatti, quando gli altri dèi sono elevati ad una posizione di leadership, si dice che ricevere il anûtu, l' "Anu-potere". Ad esempio, nell'Enuma Elis gli dèi esprimono l'autorità di Marduk su di loro, dichiarando: "La tua parola è Anu!"


Origni e Genealogia
I primi testi non fanno riferimento alle origini di An. Più tardi egli è considerato come il figlio di Ansar e Kisar, come descritto nel poema Enuma Elis. Nei testi sumeri del terzo millennio la dea Uras è la sua consorte; più tardi questa posizione è stata riscattata dal Ki, la personificazione della terra, e nei testi accadici di Antu, il cui nome è probabilmente derivato da lei.


" In later literary texts, Adad, Enki/Ea, Enlil, Girra, Nanna/Sin, Nergal and Šara also appear as his sons, while goddesses referred to as his daughters include Inana/Ištar, Nanaya, Nidaba, Ninisinna, Ninkarrak, Ninmug, Ninnibru, Ninsumun, Nungal and Nusku. "


Nei Poemi
Nel poema epico "Erra e Isum", Anu dà al demone Sebettu(suo figlio) la Erra come arma con cui gli esseri umani verrano massacrati dato che il loro rumore diventa irritante per lui.

Mitologia
Il Toro Celeste, la morte di Enkidu e la discesa agli inferi

Furente la principessa Ishtar si rivolse al padre Anu e minacciò di infrangere le porte dell’Inferno per farne uscire un esercito di morti più numeroso di quello dei vivi.
Così gridò:
“Se non scateni contro Gilgamesh il Toro Celeste, lo farò io”.
Anu si accordò con lei, in cambio della fertilità dei campi per sette anni. E subito creò il Toro Celeste che cadde sulla terra. Al primo assalto, la bestia uccise trecento uomini. Al secondo, altre centinaia caddero. Al terzo attaccò Enkidu che però lo prese per le corna. Il Toro Celeste aveva la schiuma alla bocca e colpiva furiosamente Enkidu con la coda. Allora Enkidu balzò sulla bestia e la atterrò in tutta la sua lunghezza torcendole la coda. E gridò:
“Gilgamesh, amico mio, abbiamo promesso di lasciare fama duratura. Affonda ora la tua spada tra la nuca e le corna”.
E Gilgamesh affondò la sua spada tra la nuca e le corna del Toro Celeste e lo uccise... Poi strapparono al Toro Celeste il cuore, lo offrirono al dio Shamash... Allora, la dea Ishtar salì sulle mura di Uruk, la ben cinta, salì sul punto più alto delle mura e proferì una maledizione:
“Sia maledetto Gilgamesh, poiché s’è preso gioco di me uccidendo il Toro Celeste!”.
Intese Enkidu queste parole di Ishtar e afferrati i brani del Toro Celeste se li lanciò sul volto.
Quando fece giorno, Enkidu ebbe un sogno. Vide gli dèi riuniti a consiglio: Anu, Enlil, Shamash ed Ea. Discussero della morte di Humbaba e del Toro Celeste e decretarono che, dei due amici, Enkidu sarebbe dovuto morire. Dopo questo sogno, si ridestò e raccontò quello che aveva visto.

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Tornò a sognare e questo è quel che narrò: “Il flauto e l’arpa caddero nella Grande Casa; Gilgamesh vi mise la mano, non riuscì a raggiungerli, vi mise il piede, non riuscì a raggiungerli. Allora Gilgamesh si sedette davanti al palazzo degli dèi del mondo sotterraneo, versò lacrime e il suo viso divenne giallo.
“Oh, il mio flauto, oh, la mia arpa! Il mio flauto, il cui potere era irresistibile! Il mio flauto, chi lo riporterà indietro
dagli inferi?”
.
Il suo servitore Enkidu gli disse:
“Mio signore, perché piangi? Perché è triste il tuo cuore? Oggi andrò a riprendere il tuo flauto negli inferi”
... Possa Enkidu tornare dagli inferi!...
(Allora) il padre Ea si rivolse al coraggioso eroe Nergal:

“Apri la fossa che comunica con gli inferi! Che lo spirito di Enkidu torni dagli inferi e possa parlare con il fratello!...”

Lo spirito di Enkidu come un soffio uscì dagli inferi e Gilgamesh ed Enkidu parlarono.

-Dimmi amico mio, dimmi amico mio, dimmi la legge del mondo sotterraneo, tu la conosci...
-Quello che è caduto in battaglia, lo hai visto?
-L’ho visto, il padre e la madre gli tengono il capo sollevato e la sposa lo abbraccia.
-Quello il cui cadavere è rimasto abbandonato nella pianura, lo hai visto?
-L’ho visto, il suo spirito non ha riposo negli inferi.
-Quello il cui spirito non ha nessuno che gli renda omaggio, lo hai visto?
-L’ho visto, come i resti delle pentole e dei piatti che si gettano in strada”
.

Enkidu si ammalò e morì. Gilgamesh disse allora: “Soffrire. La vita non ha altro senso che il morire! Io morirò come Enkidu? Devo cercare Utnapishtim che chiamano il “Lontano” affinché spieghi come è giunto alla immortalità. Prima esternerò il mio lutto, poi vestirò la pelle di leone e invocando Sin mi metterò in cammino”. Gilgamesh aveva percorso tutti i cammini fino a giungere alle montagne, fino alle porte stesse del Sole. Lì si arrestò davanti agli uomini-scorpione, i terribili guardiani delle porte del Sole. Chiese di Utnapishtim: “Desidero interrogarlo sulla morte e sulla vita”. Allora, gli uomini-scorpione tentarono di dissuaderlo dall’impresa.
“Nessuno che entri nella montagna vede la luce”, dissero.
Ma Gilgamesh chiese che gli aprissero la porta della montagna e alla fine così fu fatto.
Camminando per ore e ore doppie nella profonda oscurità vide in lontananza un chiarore e giuntovi uscì di fronte al Sole.
E lì era il giardino degli dei. I suoi occhi videro un albero e vi si diresse: dai suoi rami di lapislazzuli pendeva, come grande frutto, il rubino.
Vestito della pelle di leone e mangiando carne di animali, Gilgamesh vagava per il giardino senza sapere in quale direzione andare; perciò, quando Shamash lo vide, impietosito gli disse:
“Quando gli dèi generarono l’uomo tennero per loro l’immortalità. La vita che cerchi non la troverai mai”.
Ma Gilgamesh giunse alla spiaggia, fino al barcaiolo del Lontano. Lanciatisi nel mare scorsero la terra, ma Utnapishtim, che li vide arrivare, domandò spiegazioni all’accompagnatore del suo barcaiolo.
Gilgamesh gli diede il proprio nome e spiegò il senso del viaggio.

TRIADE COSMICA



Fonte
http://en.wikipedia.org/
http://www.mesopotamia.co.uk/
http://www.spiritual.it/it/glossario-de-la-dottrina-segreta/anu,10,490
 

martedì 23 settembre 2014

Nammu/Namma

Nome Nammu/Namma
Funzioni E' il mare primordiale, Dea dell'universo e delle costellazioni, del mare e della fertilità
Figli An, Ki, Aspù(oceano di acqua dolce sotto la terra, fonte di vita) e tutto l'universo
Genitori Sempre esistita

Nella mitologia sumera, Nammu/Namma era una dea primordiale, corrispondente a Tiamat nella mitologia babilonese.

Nammu era la dea del mare (Engur) che ha dato vita ad An (il cielo) e Ki (terra) e le prime divinità, che rappresenta l'Apsu, l'oceano di acqua dolce che i Sumeri credevano porre sotto la terra, la fonte di acqua viva e la fertilità in un paese quasi senza precipitazioni. Il mare primordiale, l'universo.

Nammu non è ben attestata nella mitologia sumera. Lei potrebbe essere stata di maggiore importanza nell'epoca preistorica, prima di Enki ha assunto la maggior parte delle sue funzioni. Un'indicazione della sua pertinenza può essere trovata in nome teoforico di Ur-Nammu, il fondatore della III dinastia di Ur. Secondo il testo mitologico neo-sumerico Enki e Ninmah, Enki è il figlio di An e Nammu. Nammu è la dea che "ha dato alla luce i grandi dèi". E 'lei che ha l'idea di creare il genere umano, e lei va a svegliare Enki, che si è addormentato nell'Apsu, in modo che egli può impostare dare vita al processo di creazione dell'umanità.

Il Atrahasis-Epos ha Enlil che richiede a Nammu la creazione di esseri umani. E Nammu gli disse che per creare l'uomo e animarlo c'era bisogno dell'aiuto di Enki.




La cosmogonia

In principio vi era il Mare Primordiale (Nammu), probabilmente mai creato, e quindi eterno. Dal Mare ebbe origine la Montagna Cosmica, che aveva per base gli strati più bassi della terra, e per cima la sommità del cielo. La Montagna era formata da Cielo e Terra, ancora uniti insieme e non distinti. Il Cielo, nella personificazione il dio An, e la Terra, nella personificazione la dea Ki, generarono il dio dell'Aria Enlil. A questo punto avvenne la separazione: An "tirò" il Cielo verso di sé, mentre Enlil "tirava" la Terra, sua madre. Dall'incesto di Enlil e Ki nacquero tutti gli esseri viventi, dei, uomini, animali e piante.
Inoltre, i sumeri introdussero il concetto di me. L'esatto significato di questa idea non è del tutto chiaro, ma pare definire la capacità di alcune energie, stati o azioni create dalle forze Divine di mantenersi in esistenza ed in moto continuo grazie ad una forza propria, indipendente ed a sé stante.

lunedì 22 settembre 2014

Epopea di Gilgamesh

MITI SUMERO-ACCADICI

gilgamesh6

Gilgamesh
(Poema del signore di Kullab)



Gilgamesh e la creazione del suo doppio

Colui che tutto seppe e che comprese il senso delle cose. Colui che tutto vide e tutto insegnò.
Che conobbe i paesi del mondo... Grande fu la sua gloria. Grande è la tua gloria, divino Gilgamesh!
Egli edificò le mura di Uruk. Intraprese un lungo viaggio e conobbe tutto ciò che avvenne prima del Diluvio. Al ritorno incise tutte le sue gesta su una stele. Poiché lo crearono i grandi dèi, due terzi del suo corpo sono di dio e un terzo è di uomo.
Dopo che ebbe combattuto contro tutti i paesi ritornò a Uruk, la sua patria. Ma gli uomini mormoravano con odio perché prendeva i giovani migliori per le sue gesta e governava in modo ferreo. Perciò la gente andò a portare le proprie lamentele agli dèi e gli dèi ad Anu. Anu innalzò la protesta fino ad Aruru dicendole queste parole:
“Tu, Aruru, che hai creato l’umanità, crea adesso una copia di Gilgamesh: quest’uomo a tempo debito l’incontrerà e finché lotteranno tra loro Uruk vivrà in pace”.
La dea Aruru, sentendo questa preghiera, immaginò in sé un’immagine del dio Anu, inumidì le proprie mani, impastò un blocco di argilla, ne modellò i contorni e plasmò il coraggioso Enkidu, l’eroe augusto, il campione del dio Ninurta. Tutto il suo corpo è coperto di vello, i suoi capelli sono pettinati come quelli di una donna, sono fitti come l’orzo nei campi.
E’ vestito come il dio Sumuqan e nulla sa degli uomini e della terra. Insieme alle gazzelle si nutre di erbe, insieme al bestiame si abbevera alle fonti. Sì, gli piace bere con le greggi.
Con il passar del tempo, un cacciatore incontrò Enkidu e il suo viso si contrasse per la paura.
Andò dal padre e gli narrò le prodezze che aveva visto compiere da quell’uomo selvaggio. Il vecchio, allora, inviò il figlio a Uruk affinché chiedesse aiuto a Gilgamesh.
Quando Gilgamesh ebbe ascoltato la storia dalla voce del cacciatore, gli raccomandò di prendere una bella servitrice del tempio, una figlia dell’allegria, e portando la seco di metterla alla portata dell’intruso.
“Cosicché quando egli vedrà la ragazza ne rimarrà invaghito e dimenticherà i suoi animali e i suoi animali non lo riconosceranno”.
Dopo che il re ebbe così parlato, il cacciatore procedette secondo le indicazioni e giunse in tre giorni al luogo dell’incontro. Trascorse un giorno e ancora un altro finché gli animali giunsero alla fonte per abbeverarsi. Dietro di essi apparve l’intruso, che vide la servitrice seduta. Quando costei si alzò e andò lesta verso di lui, Enkidu fu preso dalla sua bellezza. Per sette giorni si accompagnò a lei finché decise di andare di nuovo con il suo bestiame ma le gazzelle e il gregge del deserto si allontanarono da lui. Enkidu non poté rincorrerli ma la sua intelligenza si aprì, pensieri d’uomo gravarono sul suo cuore.
Tornò a sedersi accanto alla donna e costei gli disse:
“Perché vivi con gli animali come un selvaggio? Vieni, ti guiderò a Uruk al santuario di Anu e della dea Ishtar, da Gilgamesh che nessuno vince”.
Ciò piacque a Enkidu perché il suo cuore cercava un amico e quindi lasciò che la giovane lo guidasse fino ai fertili pascoli dove sono i recinti e i pastori.
Il latte delle bestie selvagge era solito succhiare ed ecco che qui gli offrono pane e vino. Spezzò il pane, lo guardò, lo esaminò, ma Enkidu non sapeva cosa farne... La schiava sacra prese la parola e disse a Enkidu:
“Mangia il pane, oh Enkidu!, perché è fonte di vita; bevi il vino, è l’usanza del paese ”.
Allora mangiò Enkidu il pane, mangiò fino a saziarsi, bevve il vino, bevve sette volte... Un barbiere tosò il vello del suo corpo ed Enkidu si asperse di unguenti, come fanno gli uomini, e indossò abiti da uomo e rifulse come un giovane sposo. Prese la sua arma, attaccò i leoni e così permise ai pastori di dormire per tutta la notte. Ma un uomo andò vicino a Enkidu, aprì la bocca e disse: "Per Gilgamesh, re di Uruk la ben cinta di mura, si trascina la gente al lavoro dei campi! Donne imposte dalla sorte l’uomo feconda, e poi, la morte! Per volontà degli dèi questo è il verdetto: sin dal seno materno la morte è il nostro destino”. Enkidu, furioso, promise di mutare l’ordine delle cose.
Ma poiché Gilgamesh aveva visto in sogno il selvaggio e aveva compreso che avrebbero dovuto confrontarsi in combattimento, quando il suo avversario gli si pose sul cammino, gli si scagliò contro con la forza del toro indomito. Le genti si affollarono per assistere alla fiera lotta e celebrarono la somiglianza di Enkidu con il re. Di fronte alla casa dell’Assemblea lottarono.
Ridussero le porte in frantumi e demolirono i muri e, quando il re riuscì ad atterrare Enkidu, questi si acquietò lodando Gilgamesh. Perciò, si abbracciarono suggellando la loro amicizia.

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Il Bosco dei Cedri

Gilgamesh fece un sogno ed Enkidu disse: “Questo è il significato del tuo sogno. Il padre degli dèi ti ha dato lo scettro, tale è il tuo destino, ma non l’immortalità. Ti ha dato potere per sottomettere e per liberare... non abusare di questo potere. Sii giusto con i tuoi servitori, sii giusto di fronte a Ishtar ”. Il re Gilgamesh pensò allora al Paese della Vita, il re Gilgamesh ricordò il Bosco dei Cedri. E disse a Enkidu:
“Non ho inciso il mio nome sulle steli, come il mio destino decreta, andrò quindi nel paese in cui si taglia il cedro, mi farò un nome lì dove sono scritti quelli di uomini gloriosi”.
Enkidu si rattristò perché in quanto figlio della montagna conosceva le strade che portano al bosco. Pensò:
“Diecimila leghe vi sono dal centro del bosco, quale che sia la direzione da cui vi si entra. Nel cuore del bosco vive Humbaba (il cui nome significa ‘Enormità’). Egli soffia vento di fuoco e il suo grido è tempesta ”.
Ma Gilgamesh aveva deciso di andare nel bosco per mettere fine al male del mondo, il male di Humbaba. E poiché era del tutto intenzionato, Enkidu si preparò a guidarlo, non senza prima avergli spiegato quali erano i pericoli.
“Un grande guerriero che non dorme mai-disse- fa la guardia agli ingressi. Solo gli dèi sono immortali e l’uomo non può ottenere l’immortalità, non può lottare contro Humbaba”.
Gilgamesh si raccomandò a Shamash, il dio del sole. A questi chiese aiuto per la sua impresa.
Gilgamesh ricordò i corpi degli uomini che aveva visto galleggiare nel fiume mentre guardava dalle mura di Uruk. I corpi di nemici e amici, di conosciuti e sconosciuti. Allora intuì la propria fine e portando al tempio due capretti, uno bianco senza macchia e l’altro marrone, disse a Shamash:
“Nella città l’uomo muore, con il cuore oppresso l’uomo muore, non può ospitare speranza nel suo cuore... Ah!, lungo è il cammino per giungere alla dimora di Humbaba. Se questa impresa non può essere condotta fino alla fine, perché , oh Shamash, hai colmato il mio cuore dell’impaziente desiderio di realizzarla?”.
...E Shamash accettò l’offerta delle sue lacrime. Shamash, il compassionevole, gli concesse la propria grazia. Celebrò per Gilgamesh forti alleanze con tutti i figli della stessa madre, che riunì nelle grotte delle montagne.
Quindi gli amici incaricarono gli artigiani di forgiare le loro armi e i maestri trassero i giavellotti e le spade, gli archi e le asce. Le armi di ciascuno pesavano dieci volte trenta sicli e l’armatura altri novanta. Ma gli eroi partirono e in un giorno percorsero cinquanta leghe. In tre giorni fecero tanto cammino quanto ne fanno i viaggiatori in un mese e tre settimane. Prima di giungere alla porta del bosco dovettero attraversare sette montagne. Compiuto il cammino la trovarono, alta settanta cubiti e larga quarantadue. Tale era l’abbagliante porta, e non la distrussero a causa della sua bellezza. Fu Enkidu a scagliarvisi contro spingendo solo con le mani fino ad aprirla completamente. Poi discesero per arrivare ai piedi della verde montagna.
Immobili contemplarono la montagna di cedri, dimora degli dei. Lì gli arbusti ricoprivano il declivio. Per quaranta ore rimasero estasiati a rimirare il bosco e ad osservare il magnifico sentiero che Humbaba percorreva per raggiungere la sua residenza...
Scese la sera e Gilgamesh scavò un pozzo. Spargendo farina invocò dalla montagna sogni benefici. Seduto sui talloni, con il capo sulle ginocchia, Gilgamesh sognò ed Enkidu interpretò i sogni densi di pronostici. La sera successiva Gilgamesh chiese sogni favorevoli per Enkidu, ma i sogni che la montagna inviò furono di malaugurio. Gilgamesh non si ridestava ed Enkidu, compiendo grandi sforzi, riuscì a metterlo in piedi. Ricoperti delle loro armature cavalcarono la terra come se indossassero vesti leggere. Giunsero fino all’immenso cedro e, allora, le mani di Gilgamesh brandendo l’ascia abbatterono il cedro.

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Da lontano Humbaba lo intese e gridò infuriato:
“Chi è costui che ha violato il mio bosco e ha tagliato il mio cedro?”.
Gilgamesh rispose:
“Non tornerò nella città, no, non ripercorrerò il cammino che mi ha condotto al Paese della Vita, senza combattere con quest’uomo, se appartiene alla razza umana, senza combattere con questo dio, se è un dio... La barca della morte non navigherà per me, non esiste al mondo tela da cui ritagliare un sudario per me, né il mio popolo conoscerà la desolazione, né il mio focolare vedrà ardere la pira funebre, né il fuoco brucerà la mia casa ”.
Humbaba uscì dalla sua residenza e inchiodò l’occhio della morte su Gilgamesh. Ma il dio del sole, Shamash, sollevò contro Humbaba terribili uragani: il ciclone, il turbine. Gli otto venti di tempesta si abbatterono contro Humbaba in modo che questi non poté più avanzare né indietreggiare mentre Gilgamesh ed Enkidu tagliavano i cedri per entrare nei suoi domini. Perciò, Humbaba finì per presentarsi docile e atterrito di fronte ai due eroi. Promise i più grandi onori e Gilgamesh era sul punto di accettare e di abbandonare perciò le armi, quando Enkidu, interrompendolo, disse: “Non ascoltarlo! No, amico mio, il male parla attraverso la sua bocca. Deve morire per mano nostra!”. E grazie all’avviso del suo amico, Gilgamesh si riebbe. Impugnata l’ascia e sguainata la spada, ferì Humbaba al collo, mentre Enkidu faceva altrettanto, finché alla terza volta Humbaba cadde e rimase a terra morto. Silenzioso e morto. Allora gli distaccarono la testa dal corpo e, in quel momento, si scatenò il caos perché colui che giaceva era il Guardiano del Bosco dei Cedri. Enkidu abbatté gli alberi del bosco e trascinò le radici fino alle rive dell’Eufrate.
Poi, deposto il capo del vinto in un sudario lo mostrò agli dèi.
Quando Enlil, signore della tormenta, vide il corpo senza vita di Humbaba, furibondo tolse ai profanatori il potere e la gloria che erano stati di lui e li diede al leone, al barbaro, al deserto. Gilgamesh lavò il proprio corpo e trascinò lontano le proprie vesti insanguinate, indossandone altre immacolate. Quando sul suo capo brillò la corona reale, la dea Ishtar posò su di lui i suoi occhi. Ma Gilgamesh la respinse perché lei aveva perduto tutti i suoi sposi e li aveva ridotti alla servitù più abietta per mezzo dell’amore. Così disse Gilgamesh:
“Sei una rovina che non dà all’uomo riparo contro il maltempo, sei una porta secondaria che non resiste alla tempesta, sei un palazzo saccheggiato dagli eroi, sei un’imboscata che nasconde i suoi tradimenti, sei una piaga infiammata che brucia chi l’ha, sei un otre pieno di acqua che inonda il suo portatore, sei un pezzo di pietra tenera che fa sgretolare le mura, sei un amuleto incapace di proteggere in terra ostile, sei un sandalo che fa inciampare il suo padrone lungo il cammino!”.


Il Toro Celeste, la morte di Enkidu e la discesa agli inferi

Furente la principessa Ishtar si rivolse al padre Anu e minacciò di infrangere le porte dell’Inferno per farne uscire un esercito di morti più numeroso di quello dei vivi.
Così gridò:
“Se non scateni contro Gilgamesh il Toro Celeste, lo farò io”.
Anu si accordò con lei, in cambio della fertilità dei campi per sette anni. E subito creò il Toro Celeste che cadde sulla terra. Al primo assalto, la bestia uccise trecento uomini. Al secondo, altre centinaia caddero. Al terzo attaccò Enkidu che però lo prese per le corna. Il Toro Celeste aveva la schiuma alla bocca e colpiva furiosamente Enkidu con la coda. Allora Enkidu balzò sulla bestia e la atterrò in tutta la sua lunghezza torcendole la coda. E gridò:
“Gilgamesh, amico mio, abbiamo promesso di lasciare fama duratura. Affonda ora la tua spada tra la nuca e le corna”.
E Gilgamesh affondò la sua spada tra la nuca e le corna del Toro Celeste e lo uccise... Poi strapparono al Toro Celeste il cuore, lo offrirono al dio Shamash... Allora, la dea Ishtar salì sulle mura di Uruk, la ben cinta, salì sul punto più alto delle mura e proferì una maledizione:
“Sia maledetto Gilgamesh, poiché s’è preso gioco di me uccidendo il Toro Celeste!”.
Intese Enkidu queste parole di Ishtar e afferrati i brani del Toro Celeste se li lanciò sul volto.
Quando fece giorno, Enkidu ebbe un sogno. Vide gli dèi riuniti a consiglio: Anu, Enlil, Shamash ed Ea. Discussero della morte di Humbaba e del Toro Celeste e decretarono che, dei due amici, Enkidu sarebbe dovuto morire. Dopo questo sogno, si ridestò e raccontò quello che aveva visto.

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Tornò a sognare e questo è quel che narrò: “Il flauto e l’arpa caddero nella Grande Casa; Gilgamesh vi mise la mano, non riuscì a raggiungerli, vi mise il piede, non riuscì a raggiungerli. Allora Gilgamesh si sedette davanti al palazzo degli dèi del mondo sotterraneo, versò lacrime e il suo viso divenne giallo.
“Oh, il mio flauto, oh, la mia arpa! Il mio flauto, il cui potere era irresistibile! Il mio flauto, chi lo riporterà indietro
dagli inferi?”
.
Il suo servitore Enkidu gli disse:
“Mio signore, perché piangi? Perché è triste il tuo cuore? Oggi andrò a riprendere il tuo flauto negli inferi”
... Possa Enkidu tornare dagli inferi!...
(Allora) il padre Ea si rivolse al coraggioso eroe Nergal:

“Apri la fossa che comunica con gli inferi! Che lo spirito di Enkidu torni dagli inferi e possa parlare con il fratello!...”

Lo spirito di Enkidu come un soffio uscì dagli inferi e Gilgamesh ed Enkidu parlarono.

-Dimmi amico mio, dimmi amico mio, dimmi la legge del mondo sotterraneo, tu la conosci...
-Quello che è caduto in battaglia, lo hai visto?
-L’ho visto, il padre e la madre gli tengono il capo sollevato e la sposa lo abbraccia.
-Quello il cui cadavere è rimasto abbandonato nella pianura, lo hai visto?
-L’ho visto, il suo spirito non ha riposo negli inferi.
-Quello il cui spirito non ha nessuno che gli renda omaggio, lo hai visto?
-L’ho visto, come i resti delle pentole e dei piatti che si gettano in strada”
.

Enkidu si ammalò e morì. Gilgamesh disse allora: “Soffrire. La vita non ha altro senso che il morire! Io morirò come Enkidu? Devo cercare Utnapishtim che chiamano il “Lontano” affinché spieghi come è giunto alla immortalità. Prima esternerò il mio lutto, poi vestirò la pelle di leone e invocando Sin mi metterò in cammino”. Gilgamesh aveva percorso tutti i cammini fino a giungere alle montagne, fino alle porte stesse del Sole. Lì si arrestò davanti agli uomini-scorpione, i terribili guardiani delle porte del Sole. Chiese di Utnapishtim: “Desidero interrogarlo sulla morte e sulla vita”. Allora, gli uomini-scorpione tentarono di dissuaderlo dall’impresa.
“Nessuno che entri nella montagna vede la luce”, dissero.
Ma Gilgamesh chiese che gli aprissero la porta della montagna e alla fine così fu fatto.
Camminando per ore e ore doppie nella profonda oscurità vide in lontananza un chiarore e giuntovi uscì di fronte al Sole.
E lì era il giardino degli dei. I suoi occhi videro un albero e vi si diresse: dai suoi rami di lapislazzuli pendeva, come grande frutto, il rubino.
Vestito della pelle di leone e mangiando carne di animali, Gilgamesh vagava per il giardino senza sapere in quale direzione andare; perciò, quando Shamash lo vide, impietosito gli disse:
“Quando gli dèi generarono l’uomo tennero per loro l’immortalità. La vita che cerchi non la troverai mai”.
Ma Gilgamesh giunse alla spiaggia, fino al barcaiolo del Lontano. Lanciatisi nel mare scorsero la terra, ma Utnapishtim, che li vide arrivare, domandò spiegazioni all’accompagnatore del suo barcaiolo.
Gilgamesh gli diede il proprio nome e spiegò il senso del viaggio.


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Il Diluvio Universale

E disse Utnapishtim:
“Ti svelerò un grande segreto. Vi fu un’antica città chiamata Suruppak, sulle rive dell’Eufrate. Era ricca e sovrana. Tutto vi si moltiplicava, i beni e gli esseri umani crescevano in abbondanza. Ma Enlil, infastidito dal clamore, disse agli dei che non era più possibile indurre il sonno ed esortò a porre fine all’eccesso scatenando il Diluvio. Ea, allora, in un sogno mi rivelò il disegno di Enlil.
“Abbatti la tua casa e salva la tua vita, costruisci una barca che dovrà essere coperta da un tetto e avrà lunghezza e larghezza uguali. Poi porterai sulla barca il seme di ogni essere vivente. Se ti interrogheranno sul tuo lavorare dirai che hai deciso di andare a vivere nel golfo”. I miei piccoli trasportavano bitume e i grandi facevano tutto ciò che era necessario.
Il quinto giorno terminai la chiglia e l’armatura. Sulle loro coste fissai con attenzione l’intavolatura. Il piano, quattro volte dieci are misurava, ogni lato del piano formava un quadrato che misurava dodici volte dieci cubiti di lunghezza, ogni parete dal piano alla copertura misurava dodici volte dieci cubiti di altezza. Sotto la copertura costruii sei coperte, con il piano, sette, e ciascuna di esse divisi in nove parti con sottili pareti... Lavoro pieno di difficoltà fu vararla, pesante fu trascinare i tronchi dall’alto fin giù, finché, rotolando su di essi, la barca s’immerse per due terzi.
Il settimo giorno la barca era completa e carica di tutto il necessario. La mia famiglia, i parenti e gli artigiani caricai sulla barca e poi vi feci salire gli animali domestici e quelli selvatici. Quando l’ora fu giunta, quel pomeriggio, Enlil mandò il Cavaliere della Tempesta. Salii sulla barca, la chiusi con bitume e asfalto, e poiché tutto era pronto, affidai il timone al barcaiolo Puzur-Amurre. Nergal divelse le paratoie delle acque inferiori e, tuonando, gli dèi distrussero campi e montagne. I giudici dell’Inferno, gli Anunnaki, scagliarono le loro tede e la notte divenne giorno. Giorno dopo giorno aumentava la tempesta e sembrava prendere nuovo vigore da se stessa. Al settimo giorno il Diluvio cessò e il mare si placò.
Aprii il boccaporto e il sole mi investì in pieno. Invano osservai, tutto era mare. Piansi per gli uomini e per gli esseri viventi nuovamente trasformati in fango.
Scoprii soltanto una montagna distante circa quattordici leghe. E lì , sul monte Nisir, la barca si fermò.
Il monte Nisir le impedì di muoversi...
Quando fu arrivato il settimo giorno lasciai libera una colomba e la colomba si allontanò, ma poi tornò , poiché non v’era luogo ove potesse riposare, tornò. Allora liberai una rondine, e la rondine si allontanò ma tornò, poiché non v’era luogo ove potesse riposare, tornò. Allora liberai un corvo, e il corvo si allontanò, vide che le acque si erano ritirate, e mangiò, volteggiò, gracchiò e non tornò.
Quindi gli dèi si riunirono in consiglio e rimproverarono a Enlil il castigo troppo duro che aveva dato alle creature, cosicché Enlil venne alla barca e, fatti inginocchiare mia moglie e me, toccò le nostre fronti dicendo:
“Nei tempi passati Utnapishtim era mortale, ma da ora sarà un dio come noi e vivrà lontano nella foce dei fiumi, e sua moglie lo accompagnerà per sempre.”
Quanto a te, Gilgamesh, perché gli dèi dovrebbero concederti l’immortalità?”
.


Il ritorno

Utnapishtim sottopose Gilgamesh ad una prova. Questi dovette tentare di non dormire per sei giorni e sette notti. Ma non appena l’eroe si sedette sui talloni, una nebbia lieve della lana del sonno cadde su di lui.
“Guardalo, guarda colui che cerca l’immortalità!”, così disse il Lontano a sua moglie.
Risvegliatosi, Gilgamesh si lamentò amaramente per il fallimento: “Dove andrò? La morte è in tutti i miei cammini”. Utnapishtim, contrariato, ordinò al barcaiolo di far tornare indietro l’uomo ma, non senza pietà per lui, decretò che le sue vesti non sarebbero mai invecchiate, cosicché di nuovo in patria avrebbe potuto rifulgere splendido di fronte agli occhi mortali.
Nell’accomiatarsi, il Lontano sussurrò:
“Vi è sul fondo delle acque una pianta, al licio spinoso è simile perché ferisce come le spine di un rosaio, le mani può lacerare; ma se le tue mani se ne impadroniranno e la conserveranno, sarai immortale!”.
Gilgamesh entrò nelle acque, legando ai propri piedi pietre pesanti. Si impadronì della pianta e intraprese il ritorno mentre diceva a se stesso: “Con questa pianta darò da mangiare al mio popolo e anch’io potrò riacquistare la mia giovinezza”. Poi camminò per ore e doppie ore nell’oscurità della montagna fino ad attraversare la porta del mondo. Dopo queste fatiche vide una fonte e vi si bagnò, ma un serpente uscito dalle profondità prese la pianta e andò a immergersi fuori dalla portata di Gilgamesh.
Così il mortale fece ritorno a mani vuote, con il cuore vuoto. Così fece ritorno a Uruk la ben cinta.
Il destino di Gilgamesh, che Enlil decretò, si è compiuto... Pane per Neti il Guardiano della Porta.
Pane per Ningizzida il dio-serpente, signore dell’Albero della Vita. E anche per Dumuzi, il giovane pastore che fertilizza la terra.
Colui che tutto seppe e che comprese il senso delle cose. Colui che tutto vide e tutto insegnò.
Che conobbe i paesi del mondo... Grande fu la sua gloria!
Egli, che edificò le mura di Uruk, che intraprese un lungo viaggio e che seppe tutto ciò che avvenne prima del Diluvio, al ritorno incise le sue gesta su una solida stele.
Alla fine anche Gilgamesh morì nonostante le sue imprese.

Pratica dell'Evocazione

La spettacolarità dell'Evocazione (chiamata all'esterno) rispetto all'Invocazione (chiamata all'interno) è indiscutibile per coloro i quali non riescono a cogliere la grandezza della seconda rispetto alla prima, preferendo i risultati "tangibili" che la prima produce. Ma non voglio qui fare una disquisizione sulle due pratiche ma illustrare un metodo pratico per riuscire nella prima.Riuscire in un'evocazione non è semplice. L'uomo vive in una sua condizione di equilibrio apparente che difficilmente vuole essere fatto oscillare tramite l'evocazione (facendo un paragone un pò virulento, è come l'immagine dello sterco secco che inizia a produrre il suo caratteristico odore se lo muovi... ed ovviamente questo all'ego non piace)... l'Evocazione è la "chiamata all'esterno" o la "chiamata esterna" (a seconda del livello di comprensione del praticante) dove nel primo caso la persona conosce la natura del Demone che sta chiamando, ne ha compreso il Sigillo come Segno, il Nome come Mantra, l'Apparenza come Forma.  Nel secondo caso la persona si illude di avere un rapporto con qualcosa di esterno a noi, dando potere ad un aspetto disarmonico del suo ego, che per lui diventerà reale e disequilibrante tanto all'interno quanto all'esterno (o meglio, alle percezioni che il mago ha di interno e d esterno).
Conoscendo questi rischi, l'ego difficilmente permetterà un rituale di questo tipo, quindi bisogna scavalcarlo... l'unico modo che abbiamo per farlo è la Volontà (non a caso il Mago è spesso chiamato la "Colonna di Volontà" all'interno del Cerchio, o dell'Occhio).
Risulta quindi evidente come tutte le pratiche medievali di preparazione al rituale goetico assumano un'importanza fondamentale, poiché attraverso varie pratiche di preparazione al rituale (digiuni, meditazioni, conoscenza del demone, visualizzazione del sigillo,...) la nostra Volontà entra in sintonia con il nostro desiderio, permettendogli di realizzarsi e di riuscire nell'evocazione. Una persona con una volontà debole è poco incline a questi rituali e generalmente è poco incline alla magia.
Quindi, a seconda dei propri limiti e della propria auto-conoscenza di Sé, si consiglia, prima di ogni evocazione, un periodo di training al rituale, che può variare da poche ore (in casi già più avanzati) fino a diversi giorni (per un'evocazione feci una preparazione di un mese, poiché era anche un modo per testare se avevo davvero la Volontà di fare quel rituale).
Ecco allora che in base a quanto pensiamo di dover combattere col nostro ego, potremmo affrontare una preparazione che riguarda digiuni, astinenza sessuale (non solo a livello fisico, anche a livello mentale), concentrazione sul demone, informarsi sul demone... la cosa fondamentale della preparazione è il riuscire a dedicare ogni singolo istante della propria giornata a quel demone ed al rituale che si sta per svolgere. Questo si fa per due fondamentali motivi:
- si entra in sintonia con l'energia del demone già da prima dell'inizio del rituale, in modo da aver già creato un ponte per la chiamata del demone;
- si accumula energia da usare durante il rituale per mantenere il collegamento attivo e vibrante.
Infatti, decidere con volontà di astenersi dal mangiare, o di fare sesso, o di dedicare la propria giornata al demone, comporta una concentrazione che permette di concentrare energia, che verrà poi liberata durante il rituale.
Molto utili, a livello di preparazione, sono anche sedute di meditazione mantenendo il sigillo del demone o fra le proprie mani o sotto le natiche (anche se ho sempre preferito la prima ipotesi). In questo modo, si inizia a far entrare in sintonia con le nostre energie il Sigillo (chiave e porta attraverso cui il demone potrà essere evocato), e viceversa otterremo che l'equilibrio interno cominci già a smuoversi per permettere l'evocazione (ovvero la predominanza del demone all'interno che si manifesterà all'esterno).
Non c'è bisogno di specificare oltre le pratiche da svolgere come preparazione, ognuno deve trovare quelle che per lui funzionano meglio... c'è chi decide di correre fino allo sfinimento dedicando la sua fatica al demone, c'è chi preferisce i digiuni di cibo ed acqua, c'è chi preferisce l'astinenza sessuale, c'è chi applica più cose contemporaneamente... ad ognuno il suo metodo...
Per il rituale evocatorio, non c'è molto da dire in Sé stesso.
E' un rituale più o meno standard che prevede i seguenti passi:
- Purificazione dello spazio rituale (esterno ed interno);
- creazione del cerchio;
- chiamata degli elementi;
- chiamata del demone;
- congressus col demone (ovvero il vero e proprio dialogo);
- congedo del demone (offerta);
- chiusura del rituale;

La purificazione è standard, è una pulizia fisica e mentale. E' una Purificazione, ovvero un'Azione che serve a Purificare, a rendere puro e deve essere fatta con tale scopo ed intenzione.
Il cerchio è l'unica nota dolente di questo rituale. Si può procedere in diversi modi ma molti preferiscono che il triangolo sia esterno al cerchio... sinceramente lo preferisco interno, per permettere al demone l'interazione col mago (ed il successivo, e più semplice, riassorbimento del demone)... ma molti neanche lo pensano il triangolo, quindi lasciano semplicemente che il demone si manifesti all'interno del cerchio.
La chiamata degli elementi generalmente si svolge con il coltello in mano (poiché bisogna separare l'Uno nel Quattro) e, a discapito di quanto molti pensano, non è standard. Non necessariamente le associazioni sono:
- Fuoco-Sud, Acqua-Ovest, Terra-Nord, Aria-Est.
Essendo un'evocazione bisogna considerare che stiamo chiamando un demone dall'interno all'esterno, e quindi dobbiamo far specchiare l'esterno con l'interno. In questo caso, analizzando il nostro corpo, noteremo come avremo a nord (Testa) la Mente, i Pensieri, quindi Aria. A Sud (Piedi) la Stabilità della Forma, la Terra. Bisogna poi considerare se il Mago è rivolto verso Nord o verso Sud, se quindi vuole una manifestazione sottile ma più compenetrante, o più concreta e tangibile fisicamente. Per la prima il mago sarà rivolto verso Nord (Aria), avrà quindi a Sinistra (Ovest) l'Acqua ed a Destra (Est) il Fuoco. Per la seconda il mago sarà rivolto verso Sud (Terra), avrà quindi a Sinistra (Est) l'Acqua ed a Destra (Ovest) il Fuoco. Ovviamente queste sono le associazioni più semplici che il mago può fare, e non tengono in considerazione altri fattori (come ad esempio la corrispondenza elementale del demone, o il fatto che si possa decidere di rivolgersi anche ad Est o ad Ovest). Con la pratica, l'esperienza e la conoscenza adatta, il mago troverà per ogni rituale la combinazione perfetta degli elementi in base al demone che deciderà di evocare.
Ovviamente, a seconda che ci si rivolga a Sud o a Nord si sceglierà di orientare l'altare verso la direzione scelta.
A questo punto arriva la chiamata del demone.
Come detto in precedenza, il Nome del demone è il mantra per evocarlo, ed il Sigillo è la chiave e la porta che devono essere usate per la comunicazione col demone. Si accenderà quindi un incenso adatto (varia a seconda delle corrispondenze planetarie del demone... in caso non le si conosca si può sostituire il tutto con l'incenso Storace, che è l'incenso nero, quello usato anche dai preti durante le funzioni religiose) e si accenda una candela votiva (anche in questo caso il colore varia in base al demone... si può tranquillamente sostituire però con una qualsiasi candela nera).
Attraverso la ripetizione del mantra si devono concentrare le nostre energie sul sigillo, che col tempo inizierà a brillare e ad emettere luce (per chi ha una visione astrale abbastanza sviluppata). Si deve continuare fino alla manifestazione del demone che può avvenire nei modi più svariati a seconda della nostra capacità di percepire la loro presenza (tremolii lungo il corpo, freddo o caldo improvviso, scariche elettriche lungo la schiena, questo per chi ha una percezione ancora non molto sviluppata... nei casi migliori si sentirà la sua voce, lo si vedrà apparire nei fumi dell'incenso, o apparirà proprio in astrale di fronte a noi)...
C'è poi il Congressus, ovvero il dialogo col demone. Ognuno sia abbastanza intelligente e cosciente da gestirlo come meglio crede.
Infine si congeda il demone con un'offerta. Si beve alla sua salute e si mangia alla sua salute, vino e cibarie di vario tipo. Ovviamente, non si consumerà tutta la libagione, ma se ne lascerà una parte sull'altare, la parte che appunto dovrà consumare il demone... non aspettatevi ovviamente che il vino o le cibarie spariscano, è un gesto simbolico, il demone non ha bisogno di nutrirsi... solo una volta il vino evaporò...
Si chiude quindi il rituale con il silenzio, consapevoli che probabilmente il demone si manifesterà nei sogni (sempre che non siate già riusciti ad ottenere un dialogo proficuo con lui durante il rituale).


Fonte
http://eccessodisilenzio.forumfree.it/?t=58514483

domenica 21 settembre 2014

Utu/Shamash

Nome Shamash/Utu (Colui che Risplende), Divino pastore della giustizia, Signore della visione
Dimora Paradiso
Simbolo Disco con raggi del sole o alato, cavallo/carro, scettro, coltello, canna, corda.
Consorte Aya
Genitori Sin/Nanna e Ningal o figlio di An o Enlil
Fratelli Inanna, Ishkur/Adad
Bambini Kettum, Girra, Sisik, Makhir, Sumuqan



Funzioni Dio del Sole, della verità, della giustizia, giudice dei vivi e dei morti,  degli oracoli, della divinazione(Insieme a Ishkur), dei re, guerriero, della fertilità, protettore contro il  male e dei viaggiatori, dei mercanti.
Numero sacro 20


Shamash è il dio del sole. Egli è anche il dio della verità e della giustizia, perché lui può vedere tutto. Shamash tiene un coltello con un bordo frastagliato in modo che possa tagliare la sua strada attraverso le montagne all'alba. E' il settimo dio e viene dopo il dio-Luna Sin, che ha il numero 30. Egli stesso non è re degli dei, ma è il “re dei re terrestri”, come se i re della terra ricevessero il potere da lui. Šamaš è il “divino pastore di giustizia” che dall'alto tutto illumina e vede. Il colpevole viene da lui imprigionato mediante un laccio o una rete: è un'immagine che si ritrova nella religione vedica (il dio Varuna che irretisce i trasgressori). Per questa sua funzione arbitrale è anche invocato nei giuramenti. La capacità di vedere tutto ne prolunga l'azione in senso oracolare: egli è il “signore della visione” (bêl bîri) e come tale risponde alle pratiche divinatorie insieme a Ishkur.
Si pensa che ogni giorno, Utu emerga da una montagna a est(simboleggia l'alba), e viaggia sia tramite un carro o una barca o un cavallo attraverso la Terra guardando tutto ciò che succede, tornando in un buco di una montagna in occidente(simboleggia il tramonto). Ogni notte, Utu scende negli inferi per decidere il destino dei morti.
Šamaš ha anche un ruolo di trattati, giuramenti e di transazioni commerciali, dato che essendo il sole può vedere l'inganno e la doppiezza. Come difensore della giustizia, il dio del sole ha avuto anche un aspetto guerriero (nero e verde).
Veniva richiesta la sua protezione contro il male e le maledizioni, infatti, molti eroi di Uruk hanno richiesto la sua protezione. Nella Epopea di Gilgames assiste l'eroe Gilgames a sconfiggere il mostruoso Humbaba, il guardiano della Foresta dei Cedri. Šamaš era anche specificamente un protettore dei viaggiatori e dei mercanti.
Šamaš ha avuto un ministro di nome Bunene che guidava il suo carro di fuoco ed era conosciuto come il figlio di Šamaš in alcune tradizioni. Bunene era venerato proprio in Sippar e Uruk durante il periodo antico babilonese.

Ps: Marduk è scritto AMAR.UTU in sumerico, letteralmente, "il vitello di Utu" o "il giovane toro del Sole".


Simboli e iconografia
Simbolo di Shamash è un disco, a volte con raggi del sole, o di un disco alato.
Si è pensato che viaggiasse in una barca, ma da circa il 1000 aC il
suo simbolo è diventato un cavallo, e più tardi, un carro.
È rappresentato pertanto seduto su di un trono e nella mano destra ha i segni del potere: il disco solare e lo scettro.
Egli è di solito raffigurato con indosso un elmo cornuto ed è anche raffigurato e con un coltello in mano in piedi su una montagna.




Genealogia
Nelle genealogie mitiche, Šamaš appare come figlio di Sin, il dio-Luna, e della sua sposa Ningal. Egli stesso si accoppia alla dea Aya, dea dell'aurora, e ne ha cinque figli: Kettum, Girra, Sisik, Makhir, Sumuqan che impersonano alcune sue funzioni come la giustizia, la fertilità e la manticaonirica (divinazione e sogni premonitori).



Mitologia
Il bosco dei Cedri
Gilgamesh fece un sogno ed Enkidu disse: “Questo è il significato del tuo sogno. Il padre degli dèi ti ha dato lo scettro, tale è il tuo destino, ma non l’immortalità. Ti ha dato potere per sottomettere e per liberare... non abusare di questo potere. Sii giusto con i tuoi servitori, sii giusto di fronte a Ishtar ”. Il re Gilgamesh pensò allora al Paese della Vita, il re Gilgamesh ricordò il Bosco dei Cedri. E disse a Enkidu:
“Non ho inciso il mio nome sulle steli, come il mio destino decreta, andrò quindi nel paese in cui si taglia il cedro, mi farò un nome lì dove sono scritti quelli di uomini gloriosi”.
Enkidu si rattristò perché in quanto figlio della montagna conosceva le strade che portano al bosco. Pensò:
“Diecimila leghe vi sono dal centro del bosco, quale che sia la direzione da cui vi si entra. Nel cuore del bosco vive Humbaba (il cui nome significa ‘Enormità’). Egli soffia vento di fuoco e il suo grido è tempesta ”.
Ma Gilgamesh aveva deciso di andare nel bosco per mettere fine al male del mondo, il male di Humbaba. E poiché era del tutto intenzionato, Enkidu si preparò a guidarlo, non senza prima avergli spiegato quali erano i pericoli.
“Un grande guerriero che non dorme mai-disse- fa la guardia agli ingressi. Solo gli dèi sono immortali e l’uomo non può ottenere l’immortalità, non può lottare contro Humbaba”.
Gilgamesh si raccomandò a Shamash, il dio del sole. A questi chiese aiuto per la sua impresa.
Gilgamesh ricordò i corpi degli uomini che aveva visto galleggiare nel fiume mentre guardava dalle mura di Uruk. I corpi di nemici e amici, di conosciuti e sconosciuti. Allora intuì la propria fine e portando al tempio due capretti, uno bianco senza macchia e l’altro marrone, disse a Shamash:
“Nella città l’uomo muore, con il cuore oppresso l’uomo muore, non può ospitare speranza nel suo cuore... Ah!, lungo è il cammino per giungere alla dimora di Humbaba. Se questa impresa non può essere condotta fino alla fine, perché , oh Shamash, hai colmato il mio cuore dell’impaziente desiderio di realizzarla?”.
...E Shamash accettò l’offerta delle sue lacrime. Shamash, il compassionevole, gli concesse la propria grazia. Celebrò per Gilgamesh forti alleanze con tutti i figli della stessa madre, che riunì nelle grotte delle montagne.
Quindi gli amici incaricarono gli artigiani di forgiare le loro armi e i maestri trassero i giavellotti e le spade, gli archi e le asce. Le armi di ciascuno pesavano dieci volte trenta sicli e l’armatura altri novanta. Ma gli eroi partirono e in un giorno percorsero cinquanta leghe. In tre giorni fecero tanto cammino quanto ne fanno i viaggiatori in un mese e tre settimane. Prima di giungere alla porta del bosco dovettero attraversare sette montagne. Compiuto il cammino la trovarono, alta settanta cubiti e larga quarantadue. Tale era l’abbagliante porta, e non la distrussero a causa della sua bellezza. Fu Enkidu a scagliarvisi contro spingendo solo con le mani fino ad aprirla completamente. Poi discesero per arrivare ai piedi della verde montagna.
Immobili contemplarono la montagna di cedri, dimora degli dei. Lì gli arbusti ricoprivano il declivio. Per quaranta ore rimasero estasiati a rimirare il bosco e ad osservare il magnifico sentiero che Humbaba percorreva per raggiungere la sua residenza...
Scese la sera e Gilgamesh scavò un pozzo. Spargendo farina invocò dalla montagna sogni benefici. Seduto sui talloni, con il capo sulle ginocchia, Gilgamesh sognò ed Enkidu interpretò i sogni densi di pronostici. La sera successiva Gilgamesh chiese sogni favorevoli per Enkidu, ma i sogni che la montagna inviò furono di malaugurio. Gilgamesh non si ridestava ed Enkidu, compiendo grandi sforzi, riuscì a metterlo in piedi. Ricoperti delle loro armature cavalcarono la terra come se indossassero vesti leggere. Giunsero fino all’immenso cedro e, allora, le mani di Gilgamesh brandendo l’ascia abbatterono il cedro.

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Da lontano Humbaba lo intese e gridò infuriato:
“Chi è costui che ha violato il mio bosco e ha tagliato il mio cedro?”.
Gilgamesh rispose:
“Non tornerò nella città, no, non ripercorrerò il cammino che mi ha condotto al Paese della Vita, senza combattere con quest’uomo, se appartiene alla razza umana, senza combattere con questo dio, se è un dio... La barca della morte non navigherà per me, non esiste al mondo tela da cui ritagliare un sudario per me, né il mio popolo conoscerà la desolazione, né il mio focolare vedrà ardere la pira funebre, né il fuoco brucerà la mia casa ”.
Humbaba uscì dalla sua residenza e inchiodò l’occhio della morte su Gilgamesh. Ma il dio del sole, Shamash, sollevò contro Humbaba terribili uragani: il ciclone, il turbine. Gli otto venti di tempesta si abbatterono contro Humbaba in modo che questi non poté più avanzare né indietreggiare mentre Gilgamesh ed Enkidu tagliavano i cedri per entrare nei suoi domini. Perciò, Humbaba finì per presentarsi docile e atterrito di fronte ai due eroi. Promise i più grandi onori e Gilgamesh era sul punto di accettare e di abbandonare perciò le armi, quando Enkidu, interrompendolo, disse: “Non ascoltarlo! No, amico mio, il male parla attraverso la sua bocca. Deve morire per mano nostra!”. E grazie all’avviso del suo amico, Gilgamesh si riebbe. Impugnata l’ascia e sguainata la spada, ferì Humbaba al collo, mentre Enkidu faceva altrettanto, finché alla terza volta Humbaba cadde e rimase a terra morto. Silenzioso e morto. Allora gli distaccarono la testa dal corpo e, in quel momento, si scatenò il caos perché colui che giaceva era il Guardiano del Bosco dei Cedri. Enkidu abbatté gli alberi del bosco e trascinò le radici fino alle rive dell’Eufrate.
Poi, deposto il capo del vinto in un sudario lo mostrò agli dèi.
Quando Enlil, signore della tormenta, vide il corpo senza vita di Humbaba, furibondo tolse ai profanatori il potere e la gloria che erano stati di lui e li diede al leone, al barbaro, al deserto. Gilgamesh lavò il proprio corpo e trascinò lontano le proprie vesti insanguinate, indossandone altre immacolate. Quando sul suo capo brillò la corona reale, la dea Ishtar posò su di lui i suoi occhi. Ma Gilgamesh la respinse perché lei aveva perduto tutti i suoi sposi e li aveva ridotti alla servitù più abietta per mezzo dell’amore. Così disse Gilgamesh:
“Sei una rovina che non dà all’uomo riparo contro il maltempo, sei una porta secondaria che non resiste alla tempesta, sei un palazzo saccheggiato dagli eroi, sei un’imboscata che nasconde i suoi tradimenti, sei una piaga infiammata che brucia chi l’ha, sei un otre pieno di acqua che inonda il suo portatore, sei un pezzo di pietra tenera che fa sgretolare le mura, sei un amuleto incapace di proteggere in terra ostile, sei un sandalo che fa inciampare il suo padrone lungo il cammino!”.
Cosmogonia e luoghi di culto
Appare anche tra i protagonisti dei miti cosmogonici, soprattutto in relazione alla creazione dell'uomo. Il suo centro cultuale più antico è il tempio sumerico di Larsa. Segue il tempio accadico di Sippar. Gli Assiri lo venerarono in un tempio ad Assur, insieme al dio Sin.

Fonti
http://www.sapere.it/enciclopedia/Shamash+o+%C5%A0ama%C5%A1.html
http://www.mesopotamia.co.uk/gods/explore/exp_set.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Utu
http://oracc.museum.upenn.edu/amgg/listofdeities/utu/index.html
http://lachiomadiberenice.forumfree.it/?t=65810441

venerdì 19 settembre 2014

Rituale del Desiderio

Occorente:
- Foglietto di carta
- Candela Verde
- Calderone (consigliato) o semplice contenitore
- Sacchetto verde
- Penna con inchiostro verde
- Incenso al muschio
- Volontà
- Eventuale pietra portafortuna.

Svolgimento
Il rito dev'essere svolto durante la luna crescente di giovedì. Consiglio di farlo, se se ne ha l'opportunità durante

Concentrarsi, meditare se vi fa rilassare o fate qualsiasi cosa che vi faccia sgombrare la mente. Purificate gli strumenti che utilizzerete e, se si vuole, anche se stessi con un bagno purificatore o qualsiasi altro metodo si conosce.

Aprire il cerchio in modo da non disperedere energie e per sentirsi più sicuri. Se si vuole evocare elementi e/o varie entità.

Io utilizzo ciò come invocazione dato sono stato inspirato appunto da Ninhursag per questo rituale:

"Oh Ninhursag, Dea della fertilità,
Madre Terra di tutti gli esseri viventi,
Signora del Cielo, Dea delle montagne,
Maestosa Signora protrettrice dei parti e delle creature viventi,
Ti invoco in questo mio rituale per richiedere la tua presenza,
Invoco la tua potenza, la tua protezione, e la tua forza guerriera
per far si che chiunque mi impedisca di realizzare il mio desiderio
venga allontanato dalle tue corna e dal tua arco. Giungi per
donarmi la calma e la fermezza per domare e dirigere la potenza
del leone affinchè si realizzi ciò da me scelto."

- Accendere l'incenso al muschio in modo che inizi a riempire la stanza o il luogo in cui effettuerete il rito con il suo odore, in questo modo purificherete anche la zona e l'ambiente sarà più propenso a questo tipo di rituale.

- Iniziare a concentrarsi sul proprio desiderio da realizzare e accendere la candela verde su cui consiglio di incidere la runa "Fehu".

- Immaginare, in prima persona il desiderio che si realizza, guardate come ciò che avete desiderato avvenga. Fatelo per un paio di minuti.

- Prendere il foglietto e poi la penna con l'inchiostro verde, concentrarsi sulla penna e far fluire le proprie energie all'interno di questa visualizzando il flusso energetico che passa da voi alla penna.

- Quando ci si sente pronti andare a scrivere sul foglietto ciò che vogliamo che si realizzi, ovviamente restare sempre concentrati sull'intento.

- Posizionare il foglio al di sopra della candela  questo punto ripetere alla tonalità di voce che considerate più appropriata e chi vi faccia sentire a vostro agio la seguente invocazione (Potete anche improvvisare o scrivere qualcosa di vostro)

"Tiche, Dea della fortuna,
Figlia del titano Oceano,
Fai girare la ruota della fortuna affinchè
il mio volere si realizzi"

- Iniziare a bruciare il foglietto e ripetere l'invocazione a Tiche.

"Tiche, Dea della fortuna,
Figlia del titano Oceano,
Fai girare la ruota della fortuna affinchè
il mio volere si realizzi"

- A questo punto mettere il foglietto che brucia in nel calderone o in  un contenitore(ovviamente resistente al fuoco). Mentre brucia ripetete nuovamente l'invocazione.

"Tiche, Dea della fortuna,
Figlia del titano Oceano,
Fai girare la ruota della fortuna affinchè
il mio volere si realizzi"

- Mentre il foglio finisce di bruciare visualizzare nuovamente la scena del desiderio che si realizza e impremere la volontà. Restare diversi minuti a farlo.

- Quando si è pronti prendere la cenere del fogietto bruciato e metterla nel sacchetto verde che potrete portare sempre dietro o lasciarlo in un luogo nascosto o a vostra vista quotidiana.
Per far si che il rituale abbia una maggiore percentuale di riuscita è consigliato scordare di averlo fatto in modo oltre alla volontà cosciente si aggiunga pure quella dell'inconscienza.

- Lasciare che la candela bruci fino alla fine e chiudere il cerchio ringraziando le dinività/entità/elementi invocati in precedenza per congedarli.

Forumle di chiusura (come ho detto prima potete improvvisare o farne delle vostre)

"Oh Ninhursag, Maestosa Signora
Ti ringrazio per essere accorsa in questo mio rituale,
Per avermi dato la tua protezione,
Che tu sia lodata"

"Tiche, Dea della fortuna,
Figlia del titano Oceano
Ti ringrazio se il tuo intervento
faccia in modo che il mio volere si realizzi
Che tu sia lodata."

A questo punto non resta che aspettare, ovviamente la riuscita dipende dalla volontà, visualizazzione, energia dell'operatore e dall'esecuzione del rituale non che nel credere in ciò che si fa. Potete aggiungere oggetti o modificare il rituale come volete. Buona fortuna.


Runa Fehu 
Dea Tiche
Dea Ninhursag

giovedì 18 settembre 2014

Erbe e Alberi - Proprietà esoteriche

ACCRESCIMENTO
Erbe e alberi che favoriscono la crescita personale, il potenziamento delle proprie facoltà e l’accrescimento del potere e delle proprietà di altre Erbe e alberi.

Alchemilla; Assenzio; Mandragora (velenosa); Potentilla; Alloro; Salvia; Edera; Frassino; Noce; Mandorlo; Melograno; Giusquiamo nero (velenoso); Agrifoglio (velenoso); Quercia.

AMICIZIA
Erbe e alberi che favoriscono i rapporti con le altre persone, che stimolano e attirano i buoni sentimenti, l’affetto, la fratellanza/sorellanza.

Basilico; Lavanda; Margherita; Viola mammola; Erica; Cumino; Olmo.

AMORE
Erbe e alberi che favoriscono e attirano l’Amore in tutte le sue forme, mantenendolo costante. Rappresentano anche l’Amore materno, l’Amore puro della Madre.

Alchemilla; Aneto; Arancio; Basilico; Camomilla; Cannella; Cardamomo; Cardo; Chiodi di garofano; Coriandolo; Gelsomino; Ginepro; Iperico; Digitale; Girasole; Lavanda; Maggiorana; Malva; Mandragora (velenosa); Melissa; Margherita; Menta; Mirto; Grano; Potentilla; Rosa selvatica; Edera; Vaniglia; Verbena; Viola mammola; Erica; Valeriana; Caprifoglio; Achillea; Castagno; Melo; Betulla; Olmo; Tiglio; Biancospino; Mandorlo; Melograno; Muschio; Luppolo; Ortica; Calendula; Patchouly; Vite; Vischio (velenoso); Cipresso (velenoso); Salice; Cicoria; Sambuco; Nocciolo.

ARMONIA

Erbe e alberi che favoriscono il benessere spirituale, l’equilibrio interiore, la gioia, la serenità e i rapporti con il mondo in cui albergano le meravigliose e armoniose presenze fatate, nonché il Divino.

Camomilla; Artemisia; Arancio; Campanella; Gardenia; Gelsomino; Ginepro; Iperico; Digitale; Girasole; Lavanda; Malva; Melissa; Margherita; Menta; Pervinca; Verbena; Viola mammola; Erica; Timo; Prezzemolo; Valeriana; Caprifoglio; Melo; Biancospino; Sandalo; Muschio; Calendula; Vite; Sambuco; Nocciolo, Ontano nero.

ATTACCO
Erbe e alberi che favoriscono la difesa attiva, il ritorno al mittente, l’attacco verso chi costituisce un pericolo per il nostro essere, fisico o spirituale, o per le persone che amiamo.

Iperico; Limone; Menta; Mandragora (velenosa); Elleboro nero (velenoso); Tasso (velenoso); Stramonio (velenoso); Giusquiamo nero (velenoso); Aconito (velenoso); Agrifoglio (velenoso); Aglio; Cicuta (velenosa).

BAMBINI
Erbe e alberi che proteggono i bambini, il loro sonno, i loro sogni e la loro innocenza. Inoltre richiamano l’attenzione e la protezione degli esseri fatati, nonché i loro insegnamenti di libertà e naturalezza.

Aneto; Camomilla; Campanella; Lavanda; Margherita; Rosa bianca; Betulla; Biancospino; Mandorlo; Salice.

BELLEZZA

Erbe e alberi che aiutano a mantenere la bellezza fisica e interiore, la grazia, il fascino e l’armonia delle forme. Sono erbe e alberi usati anche in medicina per gli stessi scopi.

Alchemilla; Aneto; Gardenia; Limone; Malva; Melissa; Rosa selvatica; Melograno.

CHIAREZZA
Erbe e alberi che stimolano la lucidità di mente, la concentrazione, l’intelligenza e l’attenzione; sono utili per lo studio, non solo mentale ma anche interiore.

Coriandolo; Ginepro; Garofano; Limone; Potentilla; Ginestrone (velenoso); Aconito (velenoso).

CONCORDIA
Erbe e alberi che favoriscono il mantenimento dei buoni rapporti, dissipando litigi e incomprensioni e riportando la serenità.

Basilico; Lavanda; Valeriana; Salvia.

CONOSCENZA
Erbe e alberi che aprono alla percezione, al sentire profondo, alle dimensioni sottili; stimolano l’ispirazione, la ricezione di eventi armoniosi e appartenenti al mondo divino della Grande Madre e favoriscono l’acquisizione di profonda conoscenza e saggezza.

Assenzio; Artemisia; Cannella; Giusquiamo nero (velenoso); Mandragora (velenosa); Menta; Rosa selvatica; Rosa bianca; Elleboro nero (velenoso); Trifoglio; Iris; Erica; Felce; Melo; Betulla; Sorbo; Frassino; Biancospino; Mandorlo; Melograno; Papavero; Vite; Salice; Sambuco; Nocciolo; Quercia; Ontano nero.

CORAGGIO
Erbe e alberi che favoriscono il superamento della timidezza, accrescendo la forza personale, l’intento e la determinazione a superare gli ostacoli, sia personali che appartenenti al mondo esterno.

Assenzio; Cardo; Genziana; Iperico; Girasole; Margherita; Potentilla; Timo; Edera; Alloro; Caprifoglio; Achillea; Borragine; Frassino; Noce; Olmo; Ginestrone (velenoso); Ortica; Aglio; Nocciolo; Quercia; Pioppo; Ontano nero.

DIVINAZIONE

Erbe e alberi che favoriscono le operazioni divinatorie, l’interpretazione chiara e significativa di segni e messaggi provenienti dalle dimensioni sottili.

Alloro; Melo; Sorbo; Sambuco; Papavero; Stramoni

Erbe e Alberi Magici

DOLCEZZA
Erbe e alberi che addolciscono i caratteri burberi e scontrosi, richiamandone i lati dolci e tranquilli.

Assenzio; Lavanda; Erica; Caprifoglio; Luppolo; Salice.

ESORCISMO
Erbe e alberi dal forte potere purificatorio, che può essere rivolto non solo a influenze negative e impurità sottili ma anche e soprattutto a presenze ostili, larve e residui psichici pericolosi per la propria armonia interiore.

Assenzio; Basilico; Cardo; Limone; Malva; Ruta; Rosmarino; Elleboro nero (velenoso); Betulla; Sandalo; Stramonio (velenoso); Giusquiamo nero (velenoso); Ginestrone (velenoso); Ginepro; Angelica; Pino; Agrifoglio (velenoso); Cicuta (velenosa); Sambuco.

FELICITA’
Erbe e alberi che favoriscono il benessere interiore, l’allegria, la gioia, la contentezza incondizionata, il buonumore e la soddisfazione.

Campanella; Girasole; Lavanda; Maggiorana; Biancospino, Riso.

FEMMINILITA’
Erbe e alberi legati al mondo femminile, ai suoi cicli armoniosi, che crescono e decrescono come le maree, e alle influenze lunari; sono usati anche nei rituali rivolti alla Luna, nei suoi aspetti di Crescente, Piena e Calante, e all’aspetto femminile del Divino. Stimolano la sensualità femminile, il languore, la dolcezza, la consapevolezza del proprio essere specchi della Dea e il superamento di vergogna e pregiudizi inferti dal mondo maschilista, dalle religioni patriarcali e dalle forme di intolleranza femminile.

Alchemilla; Camomilla; Arancio; Gardenia; Maggiorana; Mirto; Pervinca; Rosa selvatica; Iris; Artemisia; Salvia; Melo; Betulla; Noce; Mandorlo; Melograno; Ortica; Calendula; Salice.

FERTILITA’
Erbe e alberi che favoriscono il concepimento e che accrescono la fertilità, sia maschile che femminile.

Acetosa; Mirto; Orzo; Grano; Arancio; Rosa selvatica; Avena; Melo; Noce; Biancospino; Mandorlo; Melograno; Papavero; Pino; Patchouly; Riso; Vischio (velenoso); Nocciolo.

FORTUNA
Erbe e alberi che attirano la Fortuna e l’attenzione favorevole di presenze appartenenti al mondo sottile (ma è importante porsi in modo più amorevole e sereno possibile verso di esse).

Basilico; Campanella; Digitale; Mandragora (velenosa); Pervinca; Quadrifoglio; Erica; Anice stellato; Prezzemolo; Caprifoglio; Felce; Frassino; Noce; Biancospino; Melograno; Muschio; Papavero; Ortica; Abete; Riso; Agrifoglio (velenoso); Aglio; Sambuco; Nocciolo, Ontano nero.

GENEROSITA’
Erbe e alberi che favoriscono la generosità, la disponibilità e l’altruismo.

Orzo; Grano; Castagno; Noce.

GIOVINEZZA
Erbe e alberi conosciuti per la loro simbologia legata all’Immortalità; favoriscono il mantenimento della giovinezza, esteriore ed interiore, ovvero la connessione con la propria anima che, paragonata ad un bimbo per la sua purezza, ha il potere di mantenere realmente giovani; si riteneva che queste erbe ed alberi potessero persino riportare la verginità alle fanciulle che l’avevano persa.

Alchemilla; Limone; Margherita; Mirto; Rosa bianca; Rosmarino; Edera; Salvia; Tasso (velenoso); Melo; Sorbo; Mandorlo; Melograno; Abete; Vischio (velenoso); Cipresso (velenoso); Nocciolo.

PACE
Erbe e alberi che favoriscono la calma, la tranquillità e la quiete interiore.

Camomilla; Gardenia; Lavanda; Melissa; Margherita; Verbena; Papavero; Luppolo; Cipresso (velenoso).

PROSPERITA’
Erbe e alberi che attirano l’abbondanza, la crescita e la maturazione dei “frutti” dei propri sforzi e dei propri desideri, il fiorire dei propri progetti, la creatività e il benessere.

Cardamomo; Girasole; Orzo; Grano; Avena; Felce; Betulla; Noce; Melograno; Papavero; Abete; Patchouly; Riso; Agrifoglio (velenoso); Sambuco; Nocciolo; Quercia.

PROTEZIONE

Erbe e alberi che creano uno scudo protettivo da influenze nefaste, maldicenze e attacchi fisici o sottili da parte di entità o persone ostili; proteggono i viaggi, il sonno e la propria abitazione, soprattutto da eventi atmosferici distruttivi.

Basilico; Camomilla; Cardo; Chiodi di garofano; Ginepro; Iperico; Lavanda; Malva; Mandragora (velenosa); Margherita; Pervinca; Potentilla; Ruta; Rosmarino; Edera; Trifoglio; Verbena; Viola mammola; Erica, Timo; Alloro; Anice verde; Artemisia; Finocchio; Salvia; Felce; Achillea; Cumino; Betulla; Sorbo; Frassino; Noce; Tiglio; Biancospino; Sandalo; Aconito (velenoso); Ortica; Angelica; Calendula; Abete; Riso; Vischio (velenoso); Agrifoglio (velenoso); Aglio; Cipresso (velenoso); Salice; Cicoria; Sambuco; Quercia; Pioppo.

PURIFICAZIONE
Erbe e alberi che liberano dalle negatività, dalle impurità sottili e dagli influssi disarmonici e sfavorevoli; si usano anche per purificare lo spazio prima di iniziare piccole operazioni magiche.

Assenzio; Basilico; Camomilla; Cannella; Cardamomo; Cardo; Ginepro; Iperico; Lavanda; Limone; Maggiorana; Malva; Menta; Ruta; Rosmarino; Tarassaco; Trifoglio; Verbena; Erica; Timo; Alloro; Anice verde; Iris; Issopo; Artemisia; Finocchio; Salvia; Tasso (velenoso); Achillea; Acacia; Betulla; Frassino; Sandalo; Ginestrone (velenoso); Ortica; Angelica; Abete; Pino; Vischio (velenoso); Agrifoglio (velenoso); Aglio; Salice; Cicoria. 

Fonte
http://pochaontas.jimdo.com/erbe-magiche/