giovedì 25 settembre 2014

An/Anu

Nome An/Anu
Dimora Paradiso
Simbolo Toro, corona cornuta, scettro.
Consorte Ki, Nammu, Uras
Genitori Anshar e Kishar o Nammu
Fratelli Ki
Bambini Dato il suo essere il Dio degli Dei gli sono stati attruibi molti figli e demoni.
Ministro Ilabrat
Funzioni Dio del cielo, del paradiso, delle costellazioni, del giudizio, re degli Dei(Annuaki), della giustizia.
Numero Sacro 60
Triade cosmica An, Ea, Enlil
Montagna cosmica An-Ki
Quattro creatori An, Ea, Enlil, Ninhursag




Nella mitologia sumera, Anu (in sumero An, "il cielo, il cielo") è un dio del cielo, il dio del paradiso, signore delle costellazioni, re degli dei, spiriti e demoni, e dimora nelle più alte regioni celesti . Si credeva che avesse il potere di giudicare coloro che avevano commesso crimini, e che aveva creato le stelle (kishru) come soldati a distruggere i malvagi. Il suo attributo erala corona reale (corona). Il suo guardiano e ministro di Stato era il dio Ilabrat.
E' una delle più antiche divinità del pantheon sumero e fa parte di una triade, tra cui Enlil (dio dell'aria) e Enki (dio dell'acqua). Fu chiamato Anu dai successivi Accadi nella cultura babilonese. In virtù di essere la prima figura in una triade composta da Anu, Enlil, Enki(noto anche come Ea), Anu è colui considerato come il padre ed anche, il re degli dei. Anu è particolarmente associato con il tempio E-anna nella città di Uruk(Erech biblica), nel sud della Babilonia che ci sono buone ragioni per credere che questo posto può essere la sede originaria del culto di Anu. Se questo è giusto, allora la dea Inanna (Ishtar o) di Uruk può contemporaneamente essere stata la sua consorte.

Anu aveva diverse consorti, la più importante era Ki (terra), Nammu, e Uras. Con Ki era il padre di tutti gli dei Anunnaki. Con Uras era il padre di Nin'insinna(Ninsum, madre di Gilgamesh). Secondo le leggende, il cielo e la terra una volta erano inseparabili fino a che An e Ki fecero nascere Enlil, dio dell'aria, che tirò la terra verso di se mentre il cielo si staccava.
Anu esisteva nella cosmogonia sumera come una cupola che copriva il piano terra; Al di fuori di questa cupola c'era il corpo primordiale di acqua noto come Tiamat (da non confondere con il sotterraneo Abzu).In sumero, la denominazione "An" era usata in modo intercambiabile con "i cieli".
Anu è anche responsabile del Toro del Cielo, che possono essere inviati sulla terra per vendicare gli dei. Insieme a Ki costituisce la Montangna cosmica An-Ki. Insieme a Ki, Ea ed Enlil fa parte dei quattro creatori.
All'inizio ero il Dio maggiore più tardi An / Anu è venuto a condividere o cedere queste funzioni, ad Enlil e successivamente Marduk salito alla ribalta, ma ha conservato il suo carattere essenziale e status elevato nel corso della storia mesopotamica. Infatti, quando gli altri dèi sono elevati ad una posizione di leadership, si dice che ricevere il anûtu, l' "Anu-potere". Ad esempio, nell'Enuma Elis gli dèi esprimono l'autorità di Marduk su di loro, dichiarando: "La tua parola è Anu!"


Origni e Genealogia
I primi testi non fanno riferimento alle origini di An. Più tardi egli è considerato come il figlio di Ansar e Kisar, come descritto nel poema Enuma Elis. Nei testi sumeri del terzo millennio la dea Uras è la sua consorte; più tardi questa posizione è stata riscattata dal Ki, la personificazione della terra, e nei testi accadici di Antu, il cui nome è probabilmente derivato da lei.


" In later literary texts, Adad, Enki/Ea, Enlil, Girra, Nanna/Sin, Nergal and Šara also appear as his sons, while goddesses referred to as his daughters include Inana/Ištar, Nanaya, Nidaba, Ninisinna, Ninkarrak, Ninmug, Ninnibru, Ninsumun, Nungal and Nusku. "


Nei Poemi
Nel poema epico "Erra e Isum", Anu dà al demone Sebettu(suo figlio) la Erra come arma con cui gli esseri umani verrano massacrati dato che il loro rumore diventa irritante per lui.

Mitologia
Il Toro Celeste, la morte di Enkidu e la discesa agli inferi

Furente la principessa Ishtar si rivolse al padre Anu e minacciò di infrangere le porte dell’Inferno per farne uscire un esercito di morti più numeroso di quello dei vivi.
Così gridò:
“Se non scateni contro Gilgamesh il Toro Celeste, lo farò io”.
Anu si accordò con lei, in cambio della fertilità dei campi per sette anni. E subito creò il Toro Celeste che cadde sulla terra. Al primo assalto, la bestia uccise trecento uomini. Al secondo, altre centinaia caddero. Al terzo attaccò Enkidu che però lo prese per le corna. Il Toro Celeste aveva la schiuma alla bocca e colpiva furiosamente Enkidu con la coda. Allora Enkidu balzò sulla bestia e la atterrò in tutta la sua lunghezza torcendole la coda. E gridò:
“Gilgamesh, amico mio, abbiamo promesso di lasciare fama duratura. Affonda ora la tua spada tra la nuca e le corna”.
E Gilgamesh affondò la sua spada tra la nuca e le corna del Toro Celeste e lo uccise... Poi strapparono al Toro Celeste il cuore, lo offrirono al dio Shamash... Allora, la dea Ishtar salì sulle mura di Uruk, la ben cinta, salì sul punto più alto delle mura e proferì una maledizione:
“Sia maledetto Gilgamesh, poiché s’è preso gioco di me uccidendo il Toro Celeste!”.
Intese Enkidu queste parole di Ishtar e afferrati i brani del Toro Celeste se li lanciò sul volto.
Quando fece giorno, Enkidu ebbe un sogno. Vide gli dèi riuniti a consiglio: Anu, Enlil, Shamash ed Ea. Discussero della morte di Humbaba e del Toro Celeste e decretarono che, dei due amici, Enkidu sarebbe dovuto morire. Dopo questo sogno, si ridestò e raccontò quello che aveva visto.

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Tornò a sognare e questo è quel che narrò: “Il flauto e l’arpa caddero nella Grande Casa; Gilgamesh vi mise la mano, non riuscì a raggiungerli, vi mise il piede, non riuscì a raggiungerli. Allora Gilgamesh si sedette davanti al palazzo degli dèi del mondo sotterraneo, versò lacrime e il suo viso divenne giallo.
“Oh, il mio flauto, oh, la mia arpa! Il mio flauto, il cui potere era irresistibile! Il mio flauto, chi lo riporterà indietro
dagli inferi?”
.
Il suo servitore Enkidu gli disse:
“Mio signore, perché piangi? Perché è triste il tuo cuore? Oggi andrò a riprendere il tuo flauto negli inferi”
... Possa Enkidu tornare dagli inferi!...
(Allora) il padre Ea si rivolse al coraggioso eroe Nergal:

“Apri la fossa che comunica con gli inferi! Che lo spirito di Enkidu torni dagli inferi e possa parlare con il fratello!...”

Lo spirito di Enkidu come un soffio uscì dagli inferi e Gilgamesh ed Enkidu parlarono.

-Dimmi amico mio, dimmi amico mio, dimmi la legge del mondo sotterraneo, tu la conosci...
-Quello che è caduto in battaglia, lo hai visto?
-L’ho visto, il padre e la madre gli tengono il capo sollevato e la sposa lo abbraccia.
-Quello il cui cadavere è rimasto abbandonato nella pianura, lo hai visto?
-L’ho visto, il suo spirito non ha riposo negli inferi.
-Quello il cui spirito non ha nessuno che gli renda omaggio, lo hai visto?
-L’ho visto, come i resti delle pentole e dei piatti che si gettano in strada”
.

Enkidu si ammalò e morì. Gilgamesh disse allora: “Soffrire. La vita non ha altro senso che il morire! Io morirò come Enkidu? Devo cercare Utnapishtim che chiamano il “Lontano” affinché spieghi come è giunto alla immortalità. Prima esternerò il mio lutto, poi vestirò la pelle di leone e invocando Sin mi metterò in cammino”. Gilgamesh aveva percorso tutti i cammini fino a giungere alle montagne, fino alle porte stesse del Sole. Lì si arrestò davanti agli uomini-scorpione, i terribili guardiani delle porte del Sole. Chiese di Utnapishtim: “Desidero interrogarlo sulla morte e sulla vita”. Allora, gli uomini-scorpione tentarono di dissuaderlo dall’impresa.
“Nessuno che entri nella montagna vede la luce”, dissero.
Ma Gilgamesh chiese che gli aprissero la porta della montagna e alla fine così fu fatto.
Camminando per ore e ore doppie nella profonda oscurità vide in lontananza un chiarore e giuntovi uscì di fronte al Sole.
E lì era il giardino degli dei. I suoi occhi videro un albero e vi si diresse: dai suoi rami di lapislazzuli pendeva, come grande frutto, il rubino.
Vestito della pelle di leone e mangiando carne di animali, Gilgamesh vagava per il giardino senza sapere in quale direzione andare; perciò, quando Shamash lo vide, impietosito gli disse:
“Quando gli dèi generarono l’uomo tennero per loro l’immortalità. La vita che cerchi non la troverai mai”.
Ma Gilgamesh giunse alla spiaggia, fino al barcaiolo del Lontano. Lanciatisi nel mare scorsero la terra, ma Utnapishtim, che li vide arrivare, domandò spiegazioni all’accompagnatore del suo barcaiolo.
Gilgamesh gli diede il proprio nome e spiegò il senso del viaggio.

TRIADE COSMICA



Fonte
http://en.wikipedia.org/
http://www.mesopotamia.co.uk/
http://www.spiritual.it/it/glossario-de-la-dottrina-segreta/anu,10,490
 

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