domenica 21 settembre 2014

Utu/Shamash

Nome Shamash/Utu (Colui che Risplende), Divino pastore della giustizia, Signore della visione
Dimora Paradiso
Simbolo Disco con raggi del sole o alato, cavallo/carro, scettro, coltello, canna, corda.
Consorte Aya
Genitori Sin/Nanna e Ningal o figlio di An o Enlil
Fratelli Inanna, Ishkur/Adad
Bambini Kettum, Girra, Sisik, Makhir, Sumuqan



Funzioni Dio del Sole, della verità, della giustizia, giudice dei vivi e dei morti,  degli oracoli, della divinazione(Insieme a Ishkur), dei re, guerriero, della fertilità, protettore contro il  male e dei viaggiatori, dei mercanti.
Numero sacro 20


Shamash è il dio del sole. Egli è anche il dio della verità e della giustizia, perché lui può vedere tutto. Shamash tiene un coltello con un bordo frastagliato in modo che possa tagliare la sua strada attraverso le montagne all'alba. E' il settimo dio e viene dopo il dio-Luna Sin, che ha il numero 30. Egli stesso non è re degli dei, ma è il “re dei re terrestri”, come se i re della terra ricevessero il potere da lui. Šamaš è il “divino pastore di giustizia” che dall'alto tutto illumina e vede. Il colpevole viene da lui imprigionato mediante un laccio o una rete: è un'immagine che si ritrova nella religione vedica (il dio Varuna che irretisce i trasgressori). Per questa sua funzione arbitrale è anche invocato nei giuramenti. La capacità di vedere tutto ne prolunga l'azione in senso oracolare: egli è il “signore della visione” (bêl bîri) e come tale risponde alle pratiche divinatorie insieme a Ishkur.
Si pensa che ogni giorno, Utu emerga da una montagna a est(simboleggia l'alba), e viaggia sia tramite un carro o una barca o un cavallo attraverso la Terra guardando tutto ciò che succede, tornando in un buco di una montagna in occidente(simboleggia il tramonto). Ogni notte, Utu scende negli inferi per decidere il destino dei morti.
Šamaš ha anche un ruolo di trattati, giuramenti e di transazioni commerciali, dato che essendo il sole può vedere l'inganno e la doppiezza. Come difensore della giustizia, il dio del sole ha avuto anche un aspetto guerriero (nero e verde).
Veniva richiesta la sua protezione contro il male e le maledizioni, infatti, molti eroi di Uruk hanno richiesto la sua protezione. Nella Epopea di Gilgames assiste l'eroe Gilgames a sconfiggere il mostruoso Humbaba, il guardiano della Foresta dei Cedri. Šamaš era anche specificamente un protettore dei viaggiatori e dei mercanti.
Šamaš ha avuto un ministro di nome Bunene che guidava il suo carro di fuoco ed era conosciuto come il figlio di Šamaš in alcune tradizioni. Bunene era venerato proprio in Sippar e Uruk durante il periodo antico babilonese.

Ps: Marduk è scritto AMAR.UTU in sumerico, letteralmente, "il vitello di Utu" o "il giovane toro del Sole".


Simboli e iconografia
Simbolo di Shamash è un disco, a volte con raggi del sole, o di un disco alato.
Si è pensato che viaggiasse in una barca, ma da circa il 1000 aC il
suo simbolo è diventato un cavallo, e più tardi, un carro.
È rappresentato pertanto seduto su di un trono e nella mano destra ha i segni del potere: il disco solare e lo scettro.
Egli è di solito raffigurato con indosso un elmo cornuto ed è anche raffigurato e con un coltello in mano in piedi su una montagna.




Genealogia
Nelle genealogie mitiche, Šamaš appare come figlio di Sin, il dio-Luna, e della sua sposa Ningal. Egli stesso si accoppia alla dea Aya, dea dell'aurora, e ne ha cinque figli: Kettum, Girra, Sisik, Makhir, Sumuqan che impersonano alcune sue funzioni come la giustizia, la fertilità e la manticaonirica (divinazione e sogni premonitori).



Mitologia
Il bosco dei Cedri
Gilgamesh fece un sogno ed Enkidu disse: “Questo è il significato del tuo sogno. Il padre degli dèi ti ha dato lo scettro, tale è il tuo destino, ma non l’immortalità. Ti ha dato potere per sottomettere e per liberare... non abusare di questo potere. Sii giusto con i tuoi servitori, sii giusto di fronte a Ishtar ”. Il re Gilgamesh pensò allora al Paese della Vita, il re Gilgamesh ricordò il Bosco dei Cedri. E disse a Enkidu:
“Non ho inciso il mio nome sulle steli, come il mio destino decreta, andrò quindi nel paese in cui si taglia il cedro, mi farò un nome lì dove sono scritti quelli di uomini gloriosi”.
Enkidu si rattristò perché in quanto figlio della montagna conosceva le strade che portano al bosco. Pensò:
“Diecimila leghe vi sono dal centro del bosco, quale che sia la direzione da cui vi si entra. Nel cuore del bosco vive Humbaba (il cui nome significa ‘Enormità’). Egli soffia vento di fuoco e il suo grido è tempesta ”.
Ma Gilgamesh aveva deciso di andare nel bosco per mettere fine al male del mondo, il male di Humbaba. E poiché era del tutto intenzionato, Enkidu si preparò a guidarlo, non senza prima avergli spiegato quali erano i pericoli.
“Un grande guerriero che non dorme mai-disse- fa la guardia agli ingressi. Solo gli dèi sono immortali e l’uomo non può ottenere l’immortalità, non può lottare contro Humbaba”.
Gilgamesh si raccomandò a Shamash, il dio del sole. A questi chiese aiuto per la sua impresa.
Gilgamesh ricordò i corpi degli uomini che aveva visto galleggiare nel fiume mentre guardava dalle mura di Uruk. I corpi di nemici e amici, di conosciuti e sconosciuti. Allora intuì la propria fine e portando al tempio due capretti, uno bianco senza macchia e l’altro marrone, disse a Shamash:
“Nella città l’uomo muore, con il cuore oppresso l’uomo muore, non può ospitare speranza nel suo cuore... Ah!, lungo è il cammino per giungere alla dimora di Humbaba. Se questa impresa non può essere condotta fino alla fine, perché , oh Shamash, hai colmato il mio cuore dell’impaziente desiderio di realizzarla?”.
...E Shamash accettò l’offerta delle sue lacrime. Shamash, il compassionevole, gli concesse la propria grazia. Celebrò per Gilgamesh forti alleanze con tutti i figli della stessa madre, che riunì nelle grotte delle montagne.
Quindi gli amici incaricarono gli artigiani di forgiare le loro armi e i maestri trassero i giavellotti e le spade, gli archi e le asce. Le armi di ciascuno pesavano dieci volte trenta sicli e l’armatura altri novanta. Ma gli eroi partirono e in un giorno percorsero cinquanta leghe. In tre giorni fecero tanto cammino quanto ne fanno i viaggiatori in un mese e tre settimane. Prima di giungere alla porta del bosco dovettero attraversare sette montagne. Compiuto il cammino la trovarono, alta settanta cubiti e larga quarantadue. Tale era l’abbagliante porta, e non la distrussero a causa della sua bellezza. Fu Enkidu a scagliarvisi contro spingendo solo con le mani fino ad aprirla completamente. Poi discesero per arrivare ai piedi della verde montagna.
Immobili contemplarono la montagna di cedri, dimora degli dei. Lì gli arbusti ricoprivano il declivio. Per quaranta ore rimasero estasiati a rimirare il bosco e ad osservare il magnifico sentiero che Humbaba percorreva per raggiungere la sua residenza...
Scese la sera e Gilgamesh scavò un pozzo. Spargendo farina invocò dalla montagna sogni benefici. Seduto sui talloni, con il capo sulle ginocchia, Gilgamesh sognò ed Enkidu interpretò i sogni densi di pronostici. La sera successiva Gilgamesh chiese sogni favorevoli per Enkidu, ma i sogni che la montagna inviò furono di malaugurio. Gilgamesh non si ridestava ed Enkidu, compiendo grandi sforzi, riuscì a metterlo in piedi. Ricoperti delle loro armature cavalcarono la terra come se indossassero vesti leggere. Giunsero fino all’immenso cedro e, allora, le mani di Gilgamesh brandendo l’ascia abbatterono il cedro.

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Da lontano Humbaba lo intese e gridò infuriato:
“Chi è costui che ha violato il mio bosco e ha tagliato il mio cedro?”.
Gilgamesh rispose:
“Non tornerò nella città, no, non ripercorrerò il cammino che mi ha condotto al Paese della Vita, senza combattere con quest’uomo, se appartiene alla razza umana, senza combattere con questo dio, se è un dio... La barca della morte non navigherà per me, non esiste al mondo tela da cui ritagliare un sudario per me, né il mio popolo conoscerà la desolazione, né il mio focolare vedrà ardere la pira funebre, né il fuoco brucerà la mia casa ”.
Humbaba uscì dalla sua residenza e inchiodò l’occhio della morte su Gilgamesh. Ma il dio del sole, Shamash, sollevò contro Humbaba terribili uragani: il ciclone, il turbine. Gli otto venti di tempesta si abbatterono contro Humbaba in modo che questi non poté più avanzare né indietreggiare mentre Gilgamesh ed Enkidu tagliavano i cedri per entrare nei suoi domini. Perciò, Humbaba finì per presentarsi docile e atterrito di fronte ai due eroi. Promise i più grandi onori e Gilgamesh era sul punto di accettare e di abbandonare perciò le armi, quando Enkidu, interrompendolo, disse: “Non ascoltarlo! No, amico mio, il male parla attraverso la sua bocca. Deve morire per mano nostra!”. E grazie all’avviso del suo amico, Gilgamesh si riebbe. Impugnata l’ascia e sguainata la spada, ferì Humbaba al collo, mentre Enkidu faceva altrettanto, finché alla terza volta Humbaba cadde e rimase a terra morto. Silenzioso e morto. Allora gli distaccarono la testa dal corpo e, in quel momento, si scatenò il caos perché colui che giaceva era il Guardiano del Bosco dei Cedri. Enkidu abbatté gli alberi del bosco e trascinò le radici fino alle rive dell’Eufrate.
Poi, deposto il capo del vinto in un sudario lo mostrò agli dèi.
Quando Enlil, signore della tormenta, vide il corpo senza vita di Humbaba, furibondo tolse ai profanatori il potere e la gloria che erano stati di lui e li diede al leone, al barbaro, al deserto. Gilgamesh lavò il proprio corpo e trascinò lontano le proprie vesti insanguinate, indossandone altre immacolate. Quando sul suo capo brillò la corona reale, la dea Ishtar posò su di lui i suoi occhi. Ma Gilgamesh la respinse perché lei aveva perduto tutti i suoi sposi e li aveva ridotti alla servitù più abietta per mezzo dell’amore. Così disse Gilgamesh:
“Sei una rovina che non dà all’uomo riparo contro il maltempo, sei una porta secondaria che non resiste alla tempesta, sei un palazzo saccheggiato dagli eroi, sei un’imboscata che nasconde i suoi tradimenti, sei una piaga infiammata che brucia chi l’ha, sei un otre pieno di acqua che inonda il suo portatore, sei un pezzo di pietra tenera che fa sgretolare le mura, sei un amuleto incapace di proteggere in terra ostile, sei un sandalo che fa inciampare il suo padrone lungo il cammino!”.
Cosmogonia e luoghi di culto
Appare anche tra i protagonisti dei miti cosmogonici, soprattutto in relazione alla creazione dell'uomo. Il suo centro cultuale più antico è il tempio sumerico di Larsa. Segue il tempio accadico di Sippar. Gli Assiri lo venerarono in un tempio ad Assur, insieme al dio Sin.

Fonti
http://www.sapere.it/enciclopedia/Shamash+o+%C5%A0ama%C5%A1.html
http://www.mesopotamia.co.uk/gods/explore/exp_set.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Utu
http://oracc.museum.upenn.edu/amgg/listofdeities/utu/index.html
http://lachiomadiberenice.forumfree.it/?t=65810441

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